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Senso del gruppo, appagamento, desiderio di rivalsa: non si lavora solo per l’“amaro pane”

Le motivazioni che spingono a dedicarci in maniera ossessiva alla nostra occupazione sono molte. Ma attenzione a non farsi soggiogare: nessuno è insostituibile.

Il lavoro, questo “totem” da cui siamo tutti, in qualche modo, soggiogati e a cui dedichiamo gran parte della nostra vita, esiste sin dagli albori dell’uomo o, almeno, dal sua uscita dallo stato di natura, quando è stato definito “civilizzato”. Il lavoro è un’attività produttiva, che implica la messa in atto di conoscenze rigorose e metodiche, intellettuali e/o manuali, per produrre e dispensare beni e servizi in cambio di compenso, monetario o meno. In molti testi di economia è definito come “un’attività non fine a se stessa, tendente al procacciamento di altre utilità”.

Ora, è chiaro che il compenso rappresenta uno dei motivi indispensabili almeno per sbarcare il lunario. Tuttavia non l’unica ragione per cui lo si fa. Negli ultimi tempi, forse, nemmeno la più importante in un periodo storico in cui si è assistito alle “Grandi Dimissioni”, al Quiet Quitting (Abbandono Silenzioso) e ai “Lavori da Ragazza Pigra”. Tutti fenomeni in cui emerge che la produzione ad ogni costo non è una meta per cui vale la pena lavorare, con le relative implicazioni che producono stress e burnout.

Passiamo oltre la metà della vita al lavoro, con cui abbiamo una sorta di “contratto psicologico”.

Le Scienze Sociali, a cui nulla sfugge, col loro fiuto da segugio hanno realizzato una serie di ricerche da cui emerge che per i lavoratori è prioritario un buon bilanciamento della vita, il benessere psicologico e l’inclusività. Anche se i motivi per cui ci si prodighi in quest’attività e quale siano i fini ultimi, restano sullo sfondo. Se pensiamo che chi ha un’occupazione trascorre più della meta della propria vita nel luogo di lavoro, ci si rende conto di quanto possa essere importante quello che gli studiosi hanno definito come una sorta di “contratto psicologico”.

Un accordo che non è un patto scritto, ma composto di contenuti che determinano lo “stare bene” in quell’azienda, in quel gruppo di lavoro. Sono tutti aspetti che, finora, sono stati sottovalutati ma che, invece, sono decisivi per attrarre, motivare, assumere e non lasciar andare via i lavoratori. L’appartenenza a un gruppo, il riconoscimento per essere considerato un anello importante della catena, sentirsi accolti, sono tutti elementi decisivi per molti lavoratori e che fanno avvertire l’azienda come capace di prendersi cura di loro. Per chi si trova, invece, alla fine del proprio percorso lavorativo diventa importante lasciare il segno in azienda, una sorta di eredità professionale.

In molti è presente l’ambizione di sentirsi unici nella propria attività lavorativa, addirittura insostituibili.

Quest’aspetto è emerso, in realtà anche tra i giovani. In questo caso i lavoratori desiderano constatare l’impatto concreto delle loro capacità professionali, sia all’interno che fuori l’azienda. Spesso, col lavoro, si vuole dare un senso alla propria vita. All’apparenza può riguardare persone che si riconoscono solo nella carriera professionale e che si sentono come un pesce fuor d’acqua al di fuori dell’ambiente lavorativo. Ma, può anche valere per chi desidera cercare un punto d’incontro tra vita e lavoro, ritrovando nella sfera professionale quei valori in cui crede e non sentirsi “scissi” tra vita professionale e non. In molti è presente l’ambizione di sentirsi unici nella propria attività lavorativa. Non si tratta di mero riconoscimento, ma avere a disposizione occasioni per evidenziare la propria unicità e, quindi, indispensabilità.

Un desiderio che potrebbe restare tale, in quanto, in qualsiasi azienda o gruppo di lavoro, tutti sono importanti, ma nessuno insostituibile. Tuttavia si potranno offrire dei feedback che stimolano la persona ad essere coinvolta nel processo produttivo.

Comunque, è chiaro che, a prescindere delle motivazioni psicologiche e delle situazioni contingenti che spingono le persone ad…immolarsi sull’altare del Dio Lavoro, con esso esiste rapporto molto più profondo di quanto ognuno di noi possa immaginare. Spesso, come le ricerche hanno evidenziato, non si è attratti dal lavoro per lo stipendio sostanzioso, il welfare aziendale di buon livello e le azioni per il suo benessere psico-fisico. Ma da motivazioni più profonde e radicate che hanno a che fare con la sfera emozionale. Anche perché, come dimostrano le tragiche statistiche, di lavoro si… muore! 

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