Ruby ter, processo da rifare: dietro l’assoluzione un “errore di ragionamento”

Le motivazioni della Suprema Corte: vizio giuridico nella sentenza del Tribunale di Milano. Si riapre il caso per 22 imputati.

Milano – Il caso Ruby fa ancora notizia. C’è stato un “vizio”, un errore giuridico “che ha inficiato l’intero ragionamento” nella sentenza con cui il Tribunale di Milano nel febbraio 2023 ha assolto tutti gli imputati, tra cui Silvio Berlusconi, poi morto a giugno di quell’anno, Karima El Mahroug e altre giovani ex ospiti delle serate di Arcore, nel processo sul caso Ruby ter con al centro le accuse di corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza. Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso ottobre, dopo il ricorso direttamente alla Suprema Corte ha annullato con rinvio quel verdetto, disponendo un processo d’appello per 22 imputati, ovvero le cosiddette ‘ex olgettine’ e l’ex legale di Ruby.

In 26 pagine di motivazioni molto tecniche i giudici della sesta penale, oltre ad annullare senza rinvio le accuse di falsa testimonianza perché prescritte, dispongono il processo d’appello sulle altre imputazioni dando le “coordinate del ragionamento giuridico”. Spetterà, poi, scrivono, ai giudici di secondo grado di Milano ricostruire le “condotte” per “verificare la configurabilità dell’ipotizzata corruzione in atti giudiziari” o nel caso “l’originaria configurabilità di soli reati unilaterali di induzione, con esonero delle dichiaranti”, ossia dell’ex ospiti di villa San Martino, “da ogni tipo di responsabilità”.

Karima El Mahrough, Ruby

Le assoluzioni in primo grado erano arrivate per una questione giuridica in quanto le ragazze erano state sentite nei due processi milanesi sul caso Ruby, quasi tredici anni fa, come testi semplici, mentre avrebbero dovuto, secondo i giudici, essere già indagate per gli “indizi” che c’erano sui versamenti che avrebbero ricevuto dal Cavaliere ed essere ascoltate come testimoni assistite da legali. La Cassazione spiega, invece, che
la corruzione in atti giudiziari, in sostanza, non poteva essere a loro già contestata in quel momento, perché non erano ancora pubblici ufficiali, qualifica che serve perché si configuri la corruzione. E che lo sono diventate proprio solo quando sono state citate come testimoni, con la fase dell’ammissione delle liste testi nel novembre 2011.

In sostanza, i giudici nelle motivazioni mettono in luce lo stretto legame giuridico che c’è “tra la veste di testimone e il reato di corruzione in atti giudiziari” e spiegano che le ragazze non potevano essere indagate prima di assumere quella qualifica di testi, ossia di pubblici ufficiali, come ha sostenuto, invece, il Tribunale
milanese. “Prima di tale momento il delitto di corruzione non è configurabile – si legge – cosicché non sono configurabili neppure indizi che possano assumere rilievo pregiudicante”. Il Tribunale ha dato “rilievo” ad “elementi indiziari” che ci sarebbero stati prima che le giovani diventassero testi nel novembre 2011 e che erano, invece, per la Cassazione, “radicalmente inidonei” dal punto di vista giuridico a “corroborare qualsiasi ipotesi di reato”, proprio perché non erano ancora testimoni.

Il Tribunale di Milano aveva ritenuto invece che le giovani donne avrebbero dovuto essere sentite con al fianco un avvocato già nella fase delle indagini quando erano emersi degli indizi a loro carico per avere preso soldi o altre utilità dall’ex premier in ipotesi per farlo assolvere nei primi due capitoli del processo Ruby. Nel ricorso, la Procura di Milano aveva sostenuto che “l’assunzione della veste di pubblici ufficiali” delle ragazze “coincideva con il provvedimento di ammissione delle prove adottato nel processo Ruby, cioè il 23
novembre 2011″.

Tutto quello che è successo prima delle false dichiarazioni, è questo l’argomento clou degli ‘ermellini’, non ha importanza, nemmeno le dazioni di denaro. “Solo a seguito dell’acquisizione della veste di pubblici ufficiali si è potuto ravvisare il delitto di corruzionee quindi, solo da quel momento dovevano avere un avvocato il che comporta che non è stato violato il loro diritto di difesa. Per una posizione sola, quella di Luca Risso, l’ex compagno di Ruby e che era accusato di riciclaggio, il ricorso della Procura di Milano è stato dichiarato “inammissibile”. 

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