La Libia quando non può ottenere nulla dall'Italia passa all'arma del ricatto. Con Gheddafi piegavamo la testa, con Haftar speriamo di non fare la stessa cosa. Sarebbe indecente e scandaloso.
Roma – Proposta ripugnante ed irricevibile in questi termini. Il “ricatto o riscatto libico“ non può essere oggetto di discussione. Il sequestro dei due natanti e dei 18 pescatori siciliani detenuti a Bengasi da undici giorni rischia di trasformarsi in una trattativa scandalosa. Perché dalla Libia, non dalla Tripoli del traballante governo riconosciuto dall’Onu, ma da ambienti considerati vicini al generale della Cirenaica Khalifa Haftar, rimbalza in Italia la richiesta indecente che trasformerebbe in ostaggi i pescatori accusati di avere violato le acque libiche. Nonostante si sappia che non è vero, come sempre.
Praticamente 18 ostaggi innocenti da scambiare con quattro delinquenti libici arrestati nel 2015 a Catania, processati in Corte di Assise ed in Cassazione, condannati a 30 anni, per traffico di migranti, tratta di persone e omicidio. Considerati, guarda caso, da amici, familiari e miliziani libici “giovani calciatori di belle speranze“. Magari saranno stati appassionati di calcio ma col vizietto di arraffare esseri umani con lo scopo di trarne illecito profitto. Insomma diciotto onesti pescatori che si guadagnano il pane con sacrificio e dedizione al lavoro contro quattro criminali incalliti. Siamo alla follia. Lo scambio disgustoso e intollerabile è stato sostenuto da numerosi parenti dei pregiudicati libici che hanno manifestato nel porto di Bengasi con tanto di cartelli e slogan rivolti ad Haftar in difesa dei presunti calciatori. Una copertura smascherata dalla magistratura etnea:
“…Situazione ripugnante. Altro che giovani calciatori – ha detto Carmelo Zuccaro, procuratore capo di Catania – i quattro allora imputati furono condannati non solo perché al comando dell’imbarcazione ma anche per omicidio. Hanno causato la morte di 49 migranti segregati nella stiva. Lasciati morire in maniera spietata. Gli avevano sprangato anche il boccaporto per non permettere loro di salire in coperta. Un episodio fra i più brutali mai registrati…“.
La diplomazia ed i servizi di intelligence sono, comunque, al lavoro. Una situazione drammatica destinata ad alimentare polemiche politiche e ad aprire una complessa pagina di nuovi rapporti con la Libia. Quanto sta facendo il nostro Governo non convince i parenti dei 18 pescatori imprigionati tanto da costringere i congiunti ad un abboccamento con le autorità francesi attesi i buoni rapporti di Macron con gli stati generali libici. Rosaria Giacalone, moglie del direttore di macchina del peschereccio “Anna Madre” e Rosa Ingargiola, madre di Pietro Marrone, comandante del “Medinea“, invocano soluzione immediate per poter riabbracciare mariti e figli. Non c’è altro tempo da perdere.
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