L'Italia ha dato una dimostrazione di forza anche se è ancora presto per conoscerne i particolari reali. Ciò che conta è che i nostri marinai stiano tornando a casa in buona salute. Non cedere ai ricatti paga sempre.
Roma – Finalmente liberi i 18 pescatori di Mazara del Vallo. Dopo 107 giorni dal sequestro dei due natanti mazaresi Antartide e Medinea e dalla cattura degli equipaggi da parte delle milizie libiche a circa 40 miglia a Nord di Bengasi, i lavoratori del mare italiani tornano a casa
A darne notizia sono stati il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio che sono partiti stamane per la Libia con un volo di Stato per far sentire le proprie ragioni nel merito dei prigionieri italiani detenuti ingiustamente. Dopo l’incontro con i rappresentanti dei servizi segreti libici si sarebbe addivenuti alla liberazione degli ostaggi. Gli equipaggi erano detenuti nella palazzina dell’autorità portuale di Bengasi dove sono stati trattati bene durante la prigionia. La liberazione è stata confermata anche dai familiari: “…Finalmente potremo riabbracciarli – dice Giusy Asaro, parenti di uno dei comandanti dei pescherecci – adesso aspettiamo di sentirli presto, ancora non ci hanno chiamato ma presto lo faranno. Quando torneranno faremo una grande festa…”.
I 18 marinai si sarebbero dovuti presentare davanti al tribunale di Bengasi dopo Natale in pratica senza aver commesso un bel nulla, stante alle carte nautiche internazionali. Lo scopo del governo libico, rappresentato da Khalifa Belqasim Haftar, era quello di costringere l’Italia a liberare una decina di assassini fra scafisti e mercanti pregiudicati di vite umane, arrestati durante le loro scorribande nel Mediterraneo.
Il governo Conte, mesi addietro, avrebbe inviato in Libia aiuti concreti come sostegni economici, servizi e mezzi per svariate decine di milioni di euro senza cavarne un ragno del buco. Un po’ come è accaduto per la Tunisia che una volta incassati i benefici ha continuato, indisturbata, a spedirci centinaia di migranti fregandosene di accordi e convenzioni.
La Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, invece, si era vista restituire un cargo e 17 marinai di cui 9 turchi, sequestrati nelle medesime acque internazionali, nel giro di una decina di giorni e a fronte del solo pagamento di un’ammenda. La Turchia conta molto nella ex “Quarta Sponda” italiana mentre il Bel Paese, diceva il grande diplomatico von Metternick, non è altro che un’espressione geografica nel Mare Nostrum ormai diventato Mare Eorum, ovvero mare loro. Stavolta Metternick è stato smentito su tutta la linea, e meno male.
Il silenzio del nostro Esecutivo aveva costretto le maestranze mazaresi a muoversi in maniera autonoma tramite l’armatore Leonardo Gancitano del peschereccio Antartide che, affiancato dal capo del dipartimento Pesca della Lega della Regione Sicilia Giovanni Lo Coco e dall’avvocato Carola Matta, aveva di fatto avviato una trattativa parallela che sembrava l’unica strada percorribile per riportare i pescatori a casa nel più breve tempo possibile. Papa Francesco aveva dimostrato da subito solidarietà ai pescatori incarcerati e alle loro famiglie.
Al Santo Padre era seguito il forte messaggio del vescovo di Mazara, monsignor Domenico Mogavero che non ha usato mezzi termini: ”…Ora diciamo basta: è ora che chi di dovere intervenga – ha detto l’alto prelato – anche con i corpi speciali, affinché i pescatori possano fare rientro nelle loro famiglie…”.
I nuclei familiari in ambasce, in questi 107 giorni di snervante attesa, non sono stati solo quelli di nazionalità italiana. Oltre ai pescatori siciliani nei due distinti equipaggi ci sono anche pescatori senegalesi, tunisini e indonesiani che hanno moglie e figli a Mazara e che hanno sofferto la medesima tragedia diventata ormai solo un triste ricordo.
Nonostante l’intervento del Santo Padre e delle istituzioni italiane ai vari livelli, e dopo le diverse proteste davanti Montecitorio, sembrava che quanto accaduto ai nostri pescatori fosse stato gettano nel dimenticatoio, invece il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e lo stesso presidente del Consiglio Conte avrebbero lavorato di fino dimostrando anche che i nostri pescatori cercavano il pesce in acque internazionali e non sulla fascia di mare appartenente alla Libia:
”… Il fatto che i pescatori siciliani siano rimasti in Libia per tutto questo tempo ne fa un caso a metà strada tra fermo e rapimento – aveva detto Di Maio alcune settimane addietro – perché stiamo lavorando con un’autorità non riconosciuta, che è quella dell’est della Libia, con un esercito autoproclamato. Io e il presidente del Consiglio cercheremo di portarli a casa prima possibile…”. Cosi è stato.
Quel tratto di mare adiacente il Golfo di Bengasi non appartiene ai libici. La Zee (Zona economica esclusiva) autoproclamata non è stata mai formalmente accettata dalle Nazione Unite e dai maggiori Paesi europei quali Francia, Germania, Spagna, Regno Unito e dalla stessa Italia sin dai tempi di Gheddafi che nel 1973 dichiarò il Golfo della Sirte parte delle sue acque interne, ovviamente forzando le regole alla sua maniera. Dunque si tratta di un rapimento a scopo d’estorsione. Comunque stiano le cose per le famiglie dei pescatori non c’è stato miglior regalo di Natale.
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