Uno Stato che tratta cosi i suoi figli migliori viola tutti i diritti costituzionali. Per anni politica e generali hanno operato un gioco al massacro trincerandosi dietro omertà e depistaggi.
Roma – Tra i vari misteri che avvolgono l’Italia, una delle pagine più nere è quella che riguarda i soldati deceduti per contaminazione da uranio impoverito. Una vicenda scomoda e ancora oscura. Nemmeno riconosciuta tanto che più di qualcuno ha tentato di ostracizzarla temendo, probabilmente, ostacoli per la propria carriera. Come spesso accade in queste circostanze, a pagare le peggiori conseguenze sono stati uomini senza colpe. Uomini votati alla causa con spirito di sacrificio.
Attualmente le vittime accertate per i danni provocati dal componente radioattivo derivante dal procedimento di arricchimento dell’uranio sono quasi 382, mentre i soldati che hanno subito complicanze tumorali importanti sono 7.500. Nonostante le udienze parlamentari, le Commissioni d’inchiesta e i processi, per molti ancora non c’è stata giustizia. Al contrario in tanti hanno lamentano una progressiva ghettizzazione nei loro confronti, utile solamente a tenere lontana la popolazione della verità. E lo Stato dalle proprie responsabilità.
Vincenzo Riccio, presidente della A.N.V.U.I (Associazione Nazionale Vittime dell’Uranio Impoverito) ci aiuta a comprendere che cosa è realmente accaduto e quali sono le prospettive:
“…Mi sono arruolato – dichiara il presidente – all’età di 16 anni e per i 24 successivi ho servito la Patria come sottufficiale dell’aereonautica militare. Ho svolto due missioni all’estero, entrambe in Iraq, nel 2003 e nel 2006. Durante il servizio mi sono sempre sottoposto a visite periodiche e, almeno fino al 2006, non erano mai state riscontrate anomalie. I primi sintomi sono arrivati poco dopo il rientro dalla seconda missione. Di lì a breve avrei cominciato una strada tortuosa che nel 2009 mi portò prima a scoprire di aver contratto un carcinoma neuroendocrino, e poi a sottopormi ad alcuni interventi chirurgici importanti ed invasivi presso l’ospedale Sant’Orsola di Bologna…”.
La sensazione che qualcosa non quadrasse, però, Riccio l’ha avuta fin dall’inizio. Nel 2010 ancora si sapeva poco dei danni provocati dall’uranio impoverito. Per i corridoi delle caserme circolavano soltanto voci confuse e frammentarie in merito alla cosiddetta sindrome dei Balcani, ma gli accertamenti, quelli scientifici, non erano ancora di pubblico dominio. Tra i commilitoni era quasi vietata la parola uranio come se il solo sussurrarla potesse portare sfortuna. Nel mentre, però, i soldati italiani continuavano ad ammalarsi in maniera esponenziale:
“… Ho provveduto immediatamente ad effettuare analisi più specifiche – aggiunge Riccio – per andare in fondo alla questione. Dai risultati dei test svolti sui tessuti che mi erano stati asportati è emersa una cospicua presenza di metalli pesanti tra cui ferro, cromo e nichel associabili alle esplosioni da uranio. Esattamente un anno dopo, all’età di 39 anni, l’esercito mi ha messo in congedo per motivi di salute senza riconoscermi nulla. Nessun indennizzo, nessun tipo d’ammortizzatore. I soldati che denunciavano malattie correlate all’uranio venivano isolati e sbrigativamente congedati definitivamente. Attualmente sopravvivo grazie alla pensione maturata durante i 24 anni di servizio che, specie per chi come noi è costretto a periodiche e costose visite mediche, non è molto alta. Chi comanda nei palazzi ha cercato di occultare e confutare questa problematica. Ricordo ancora le parole dell’allora ministro della Difesa Sergio Mattarella che, durante un intervento parlamentare, negò apertamente la presenza dell’uranio impoverito nelle zone dove operavano le truppe italiane. Salvo poi rettificare ammettendone l’utilizzo da parte delle altre forze della NATO coinvolte nel teatro. L’amministrazione italiana allora concepì tutta una serie di ostacoli burocratici per complicare il percorso giudiziario dei soldati che avessero tentato di raggiungere il proprio riconoscimento per vie legali. In questa maniera si è cercato di imbavagliare la verità. Solo dopo 4 commissioni parlamentari, 170 sentenze di condanna e quasi quattrocento morti, la giustizia inizia a venire a galla. Ma ancora nessuno ci ha chiesto scusa. Né a noi, né ai parenti di chi non c’è più…”.
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Paradossalmente una delle problematiche maggiori contro cui i soldati ammalati sono stati costretti a battersi era stata proprio l’enorme difficoltà di avviare un’istruttoria per quanto accaduto in servizio:
“…Nell’esercito – spiega l’ex sottufficiale – succede che controllato e controllore sono la stessa persona. Teoricamente il ministero della Difesa, tramite il comitato di Verifica delle cause di servizio, dovrebbe monitorare e istruire i procedimenti a tutela delle vittime appurandone la veridicità. Questo nella realtà dei fatti è praticamente impossibile, dato che spesso i vertici dell’Esercito si sovrappongono a quelli ministeriali e viceversa. Alla fine su 7.500 casi sono emerse circa 7.300 dinieghi. Credo che ci siano stati grossi errori di valutazione sia da parte della politica, che da parte dei vertici militari e adesso nessuno vuole assumersi le responsabilità. Meglio ignorare e mettere a tacere chi si ribella. La questione dell’uranio impoverito non è legata solamente al passato ma è tuttora centrale. Ancora oggi ci sono molti soldati che continuano ad ammalarsi silenziosamente. Effettuano le chemioterapie durante le licenze ordinarie ma non denunciano per la paura di perdere il posto e lo stipendio. Vanno avanti così, almeno finché possono. Le bombe all’uranio ormai sono state lanciate, la presenza dell’elemento chimico in determinate aree del mondo è qualcosa di irreversibile e chiunque passi per quelle zone rischia di contrarre malattie. Chiedetelo ai soldati che hanno avuto figli con malformazioni o che non sono più autosufficienti, oppure a chi si è ammalato durante le sessioni ai poligoni di tiro in Sardegna se la questione uranio è anacronistica o meno. Ascoltate le loro risposte…”.
Vincenzo Riccio è uno di quei soldati che grazie a vari interventi chirurgici e a una lunga ed estenuante fisioterapia è riuscito a ricostruirsi un’isola vitale ma il rancore e la rabbia per le menzogne istituzionali rimane ancora grande. E non si può cancellare con un colpo di spugna. Come qualcuno vorrebbe.
“…Vedere i capi di Stato – conclude Riccio – i generali, i vertici dell’Esercito e i politici sedere nella IV Commissione e asserire che andava tutto bene e che non vi era presenza d’uranio impoverito nei teatri dove operavano le truppe italiane è stata una mancanza di rispetto per tutti noi. Soprattutto per i morti. Ci ha fatto capire che le istituzioni avrebbero oscurato la realtà. E così è andata. Lo Stato prima è stato omertoso e poi ci ha abbandonato. Ma quei soldati non sono morti inutilmente. Sarebbe un insulto alla loro memoria smettere di lottare per ottenere giustizia e riconoscimenti. Fino a quando non raggiungeremo il nostro traguardo, come sodalizio, ci batteremo affinché nessun militare si senta abbandonato nel momento più difficile della sua esistenza…”.
Sfortunatamente siamo abituati a vivere in una nazione dove le mezze verità sono la norma mentre la giustizia spesso appare legata a secondi fini. Gli intrighi, i depistaggi, il malaffare e la corruzione sembrano endemici in questo Paese. Nonostante tutto questo pattume una bugia per quanto ripetuta all’infinito non diventerà mai verità. Questa troverà sempre la forza per venire a galla. Uno Stato che tratta cosi i suoi figli migliori viola tutti i diritti costituzionali. Guai ai vinti.
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