E' probabile che i costi di gestione del servizio ricadranno ancora una volta sulle utenze già tartassate da conti correnti costosi e spese bancarie stratosferiche. A fronte di servizi inefficienti.
Roma – Quando si toccano gli interessi delle banche tutto diventa difficile se non impossibile. Con l’operazione “Cashback”, che non è il titolo di un film di 007, si intende porre un freno se non la fine, attraverso agevolazioni, al pagamento in contanti. Così il governo sferra un attacco frontale agli istituti di credito che si difendono e contrattaccano a colpi di interessi sommersi.
La guerra al contante e all’evasione fiscale è appena iniziata. L’unico modo per ottenere il risultato sperato è quello di azzerare o abbassare le commissioni POS per i pagamenti elettronici. Ma appena ventilata l’idea si sono alzate le barricate delle banche che rumorosamente hanno protestato. Così la promessa del governo di ridurre “drasticamente i costi delle transazioni cashless”, cioè senza contanti, si è scontrata con la dura realtà dell’interesse supremo: i soldi.
Altro che incentivi del potere politico. Il vero potere, quello economico, si difende e scalpita. Certamente non è disposto ad accogliere le istanze di cittadini e governo. L’accordo di azzerare le commissioni per gli esercenti, su tutte le transazioni fino a 5 euro, bene o male è stato raggiunto. Ma non oltre. Un’intesa certamente al ribasso e ancora da valutare e che rischia di scontentare tutti perché non sembra così utile, in quanto non tiene in considerazione la rete su cui si basa e si reggono i pagamenti digitali.
Per capire quanto la struttura sia complessa ed intricata basti sapere che i soldi di ogni operazione effettuata da un acquirente si spostano con diversi passaggi virtuali, almeno cinque, prima di arrivare a destinazione. In effetti la catena è piuttosto lunga: il consumatore paga un canone annuo allo issuer (ovvero all’emittente), il soggetto che emette la carta di pagamento e autorizza le transazioni provvede poi all’addebito verso il cliente. Insomma ci sono una serie di commissioni da annullare per nulla semplici.
In buona sostanza insistono nell’operazione ben cinque passaggi di denaro che qualcuno deve pagare. Sia che si tratti di un importo di migliaia di euro, sia che riguardi pochi centesimi. Non pagare questi passaggi sarebbe come dire al benzinaio che i primi cinque litri di benzina che immette nel nostro serbatoio sono gratis. Che cosa risponderebbe il nostro amico esercente della pompa di benzina?
Così il vero problema si comprende subito: per via di una lunga filiera bancaria ogni transazione va pagata. E pure tanto in base al servizio reso. Di conseguenza se i pagamenti con carta e quelli per le piccole spese dovessero rivelarsi un successo, a rischiare il collasso sarebbe proprio il comparto bancario, costretto ad assorbire le commissioni di ogni transazione.
In effetti non sarebbe una cattiva idea per quello che offrono e pretendono le banche, ad esempio, su un conto corrente via web i cui costi reali sono davvero irrisori. Il pericolo, però, è che le spese di ogni singola transazione potrebbero riversarsi sulla clientela, magari con sistemi “poco visibili” come il canone del Pos o la gestione del conto. Come accade per altri servizi.
Esistono anche soluzioni alternative ai pagamenti elettronici tradizionali. Basti pensare, ad esempio, all’italiana Satispay che ha eliminato tutti i passaggi intermedi tra chi compra e chi vende trasferendo direttamente i soldi da un account all’altro. In questo modo per gli acquisti fino a 10 euro l’esercente non paga nulla. Per quelli superiori, invece, la commissione è fissa a 20 centesimi. Dal 2021 intanto partirà la “Lotteria degli Scontrini“, che prevede premi fino a 5 milioni di euro per chi paga con carta o bancomat. Sotto a chi tocca e buona fortuna.
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