Per la sua particolare predisposizione geologica, posizione geografica e conformazione, la nostra Penisola è uno dei Paesi più a rischio del Mediterraneo per eventi sismici.
Per la sua particolare predisposizione geologica, posizione geografica e conformazione, la nostra Penisola è uno dei Paesi più a rischio del Mediterraneo per eventi sismici. In 2.500 anni, l’Italia è stata colpita da circa 30.000 terremoti di intensità uguale o superiore al IV-V grado della scala Mercalli; di questi, 560 circa sono stati di grado superiore a otto.
La particolare sismicità del territorio italiano è determinata dalla sua collocazione nella zona di convergenza tra la zolla africana e quella eurasiatica. Le forti spinte compressive, che causano l’accavallamento dei blocchi di roccia, rendono la nostra penisola uno dei Paesi a maggiore rischio terremoti del Mediterraneo. Ne sono testimoni sia la frequenza dei episodi sismici che hanno storicamente scosso il suo territorio, sia l’intensità che molti di essi hanno raggiunto. La sismicità più elevata si concentra nella parte centro-meridionale del paese, lungo la dorsale appenninica, in Calabria e Sicilia, e in alcune aree settentrionali, quali il Friuli, parte del Veneto e la Liguria occidentale, mentre la Sardegna è la regione meno colpita. Gli eventi sismici sono causa di ingenti perdite in termini di danni economici per il ripristino e la ricostruzione post-evento, a cui si sommano i danni, difficilmente quantificabili in valore economico, al patrimonio artistico. Non dimentichiamo, inoltre, che le conseguenze non traducibili in valore economico di un terremoto si hanno in termini di vite umane.
Nell’ultimo secolo Nord a Sud Italia sembrano non avere tregua:
1905 Calabria
1908 Messina e Calabria Meridionale
1911 Paesi Etnei
1915 Marsica
1919 Mugello
1920 Garfagnana
1930 Alta Irpinia
1968 Valle del Belice
1976 Friuli
1980 Irpinia e Basilicata
1997 Umbria e Marche
2009 L’Aquila
2012 Emilia Romagna
2016 Amatrice
Mentre i terremoti si susseguono, la rinascita stenta a presentarsi. Nella fase post-terremoto emergono le difficoltà di percorso per il superamento dell’emergenza e per affrontare la ricostruzione. Come tutti sappiamo, purtroppo, i terremoti non si possono prevedere in modo dettagliato, ma sarebbe possibile fare prevenzione ristrutturando abitazioni, scuole e ospedali, nelle zone a rischio e caratterizzate da un patrimonio edilizio debole, spesso frutto di abusi. Tuttavia, in Italia, si cerca di trovare soluzioni sempre dopo le tragedie, perché le leggi non vengono applicate o vi si trova il modo di aggirare. Ovviamente si spende molto di più a ricostruire, di quanto si sarebbe speso a prevenire.
Nonostante il grande spirito di solidarietà che intercorre fra gli italiani, un sisma è un trauma che si ripercuote per decenni sulla popolazione, e al danno si aggiunge la beffa dei ritardi post-terremoto, aggravati delle pastoie burocratiche. La ricostruzione che ad Amatrice è ancora all’anno zero, e la riedificazione dell’Aquila che procede a rilento, sono sintomo, ancora una volta, del divario esistente tra Nord e Sud per l’impegno profuso dopo il disastro. Nella memoria è ancora vivo il ricordo della differenza nella gestione dei fondi statali tra Friuli e Irpinia, eventi identici, a pochi anni l’uno dall’altro, ma amministrati in maniera totalmente diversa.
Il governo friulano, in meno di una decina d’anni, riuscì a ridare un alloggio dignitoso a tutti gli sfollati, mentre quello campano gestì la situazione in maniera disastrosa. Tramite costosi regali a cariche dello stato, imprenditori in odor di camorra si aggiudicarono gli appalti, con il risultato che dopo 30 anni nella zona di Irpinia erano ancora in molti a vivere nei container. Per dirla in parole povere: ci fu un totale “magna-magna”. Ma il primato della vergogna tocca a Messina. Se pur vero che quello del 1908 fu il terremoto più drammatico della storia d’Italia, un’immensa catastrofe naturale a memoria d’uomo, è tuttavia inconcepibile che ancora oggi gli eredi dei sopravvissuti vivano, o meglio sopravvivano, in baracche fatiscenti, spesso dotate di tetti in amianto. Quella che doveva essere un’emergenza, si è tradotta nel disumano destino di tre, quattro, generazioni.
Oggi sarebbe un’utopia pensare che non ci saranno più macerie da rimuovere, case da ricostruire, vite da salvare, ma dovremmo aspirare all’eliminazione di inaccettabili ritardi, fomentatrici di drammi. Sul tema, noi di Pop abbiamo intervistato l’ing. Leonardo Santoro, ex dirigente del Servizio Sismico della Regione Siciliana ed ex ingegnere capo del Genio Civile di Messina.
Come mai in Italia, a parte qualche eccezione, la ricostruzione post-terremoto è sempre stata così lenta?
Ogni crisi sismica è una storia a sé. La lentezza della ricostruzione è dipesa, nel tempo, da diverse cause. Per Messina (1908) ci fu una prima indecisione riguardo alla possibilità di riedificare nello stesso luogo o considerare l’idea di raderla al suolo e ricostruirla altrove.
Prevalse la prima soluzione, tuttavia avallata dalla più grande speculazione edilizia della storia messinese, il cosiddetto piano “Borzí“. In spregio alla bocciatura ministeriale, tale piano fu adottato relegando le nuove periferie per i messinesi superstiti e lottizzando il centro storico, che fu rivenduto al migliore offerente, dopo aver demolito con la dinamite edifici e chiese superstiti. Per il Belíce (1968) la ricostruzione fu lenta perché si preferirono le “new town” e ad oggi il piano non è ancora stato completato. Nelle crisi sismiche più recenti, dall’Umbria nel 1997 in avanti, è, al contrario, sempre più cresciuto l’ostacolo burocratico, nato per fare fronte al cattivo uso dei fondi.
La normativa vigente prevede controlli e tutele per evitare che, come in passato, si verifichino distrazioni di fondi come è avvenuto, ad esempio, in Irpinia. Ritiene siano efficaci?
I controlli normativi sempre più pressanti hanno tentato di arginare il cattivo uso dei fondi, di contro, appunto, vi è un aggravio di pastoie burocratiche, purtroppo non sempre efficaci per arginare il malaffare.
Sappiamo che ci sono studi, in atto, per cercare di prevedere i terremoti. Cosa ne pensa al riguardo?
Ormai le mappe di pericolosità e predizione sismica danno l’ubicazione territoriale e la probabilità degli eventi sismici. Ciò che rimane imponderabile è il momento esatto del terremoto. Il luogo, invece, è tutto sommato prevedibile. Per Messina, ad esempio, l’elevata pericolosità è dovuta alla vicinanza delle faglie, in fondo allo stretto.