Dopo la lettura del verdetto alcuni parenti delle vittime si sono scagliati contro il giudice con insulti e minacce. Sarà la Procura di Campobasso ad indagare sui fatti accaduti nell’auula del tribunale di Pescara.
Pescara – Le sentenze non si commentano, si rispettano, diceva una certa sinistra quando era al governo. Chissà poi perché non si possono commentare, nei modi e nei termini prescritti da un diritto di cronaca in nome del quale, come afferma una consolidata giurisprudenza, può starci un minimo di critica da parte del cronista. Certo per la sentenza della strage di Rigopiano in cui persero la vita 29 persone, il vero scandalo non sono le assoluzioni, già di per sé dure da digerire, ma le parole di chi strumentalizza il dolore.
In buona sostanza se c’è una vittima innocente, dall’altro lato deve esserci un colpevole, ma le cose sono andate diversamente a Pescara dove il giudice Gianluca Sarandrea ha emesso il 23 febbraio scorso un verdetto con 25 assoluzioni e 5 condanne, fra queste ultime c’è quella per l’attuale sindaco di Farindola, Comune dove ricadeva l’hotel spazzato via dalla valanga del 18 gennaio 2017. Al primo cittadino, Ilario Lacchetta, sono stati inflitti 2 anni e 8 mesi. Ai funzionari della Provincia, Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio, sono stati comminati 3 anni e 4 mesi, al gestore dell’hotel Bruno Di Tommaso 6 mesi e altrettanti al tecnico Giuseppe Gatto.
Assolti perché “il fatto non sussiste” l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, e l’ex presidente della Provincia, Antonio Di Marco. Prosciolti anche i dirigenti regionali, responsabili dell’ufficio rischi e valanghe della Regione Abruzzo, tecnici e politici. Assolta anche Daniela Acquaviva, la dirigente della prefettura che, al telefono con Quintino Marcella che chiedeva aiuto, bollava la notizia del crollo dell’hotel Rigopiano come “falsa”, pronunciando l’ormai tristemente famosa frase: “La mamma degli imbecilli è sempre incinta”.
Il verdetto ha scatenato la reazione dei congiunti delle vittime. Nel caos qualcuno ha gridato contro il giudice: “Vergogna, vergogna. Ingiustizia è fatta. Assassini. Venduti. Fate schifo”. Alcuni parenti sono stati trattenuti a stento dalle forze dell’ordine, costrette a contenere la ressa ed evitare la tentata aggressione al giudice, blindato in aula. Tra i presenti c’era anche il pasticcere Giampiero Matrone, duramente colpito dalla tragedia, ed il cuoco Giampiero Parete, il primo dei superstiti che diede l’allarme poi rimasto inascoltato. Urla, lacrime e proteste sono state considerate reati dunque imputabili come oltraggio a pubblico ufficiale e perseguibili d’ufficio. La Procura della Repubblica di Pescara trasmetterà, per competenza, ai colleghi di Campobasso gli atti relativi alle proteste onde permettere di svolgere le indagini. L’inchiesta può contare sull’ausilio di audiovisivi e testimonianze oculari grazie alle quali i carabinieri potranno identificare le persone che avrebbero violato il codice penale.
Per avere oltraggiato un magistrato il presunto responsabile rischia una pena detentiva sino a 5 anni di carcere ma, in questo caso, sarebbe anche maggiore considerata l’aggravante di aver proferito all’indirizzo del togato la frase: “Da chi ti sei fatto scrivere la sentenza?”. Poi ci sarebbero altre frasi dal presunto tono minaccioso e tutto il resto. Se ne riparlerà alla prima udienza, qualora si proseguirà con l’azione penale. Per intanto è bene evidenziare che al processo per i morti di Rigopiano, la pubblica accusa aveva chiesto condanne per 150 anni di carcere, mentre ne sono stati erogati a malapena una decina. Comunque stiano le cose, è bene ricordare che dopo 6 anni si è giunti a sentenza ed ora ci si avvierà verso il secondo grado e cosi via. Alle famiglie delle vittime non rimane altro che arrendersi davanti alla giustizia che, in questo caso, non sappiamo quanto sia stata giusta:”
“Man mano che il giudice leggeva la sentenza – spiega Giampaolo Matrone, pasticciere di Monterotondo, sopravvissuto, e marito di Valentina Cicioni, deceduta sotto le macerie – credevo che le persone assolte per alcune imputazioni venissero poi condannate per altre. Il giudice ci ha dato il contentino dei soldi, chiedendo risarcimenti dalle poche persone condannate. Dei soldi non me ne faccio nulla. Quando la sentenza è stata letta ho subito cercato di avvicinarmi al giudice, gliela volevo strappare e fare quel foglio in mille pezzi. Quella scritta che c’è in ogni tribunale, La legge è uguale per tutti, andrebbe cancellata”.