Regeni, al via il processo ai quattro 007 egiziani. I genitori: “Giornata importante”

Il pronunciamento della Corte costituzionale ha permesso l’avvio del procedimento nonostante la mancata notifica agli imputati negata dal regime egiziano.

Roma – Al termine di un iter giudiziario impervio e tortuoso si è aperto oggi a Roma il processo ai quattro 007 egiziani accusati di aver sequestrato, torturato e ucciso Giulio Regeni nel gennaio del 2016 al Cairo. La prossima udienza è stata fissata per il 18 marzo: i giudici dovranno decidere in merito ad alcune richieste presentate dalla difesa, che vorrebbe annullare il procedimento.

Le indagini sull’omicidio del ricercatore italiano andavano avanti da anni, sebbene zavorrate dall’ostruzionismo delle autorità egiziane che hanno cercato in ogni modo di depistarle e in ultima istanza di impedire il processo negando le informazioni necessarie a rintracciare gli indagati e notificare loro gli atti processuali.

Impasse giuridico sbloccato da una sentenza della Corte Costituzionale che nel settembre scorso ha disposto l’avvio del processo ritenendo che gli imputati con ogni probabilità siano da ritenere a conoscenza delle accuse a loro carico, anche se irreperibili. La pronuncia della Consulta ha permesso il rinvio a giudizio e l’inizio del dibattimento in aula. Gli imputati sono quattro agenti della National Security: il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi, e il maggiore Magdi Sharif, accusati di concorso in lesioni personali aggravate, omicidio aggravato e sequestro di persona aggravato.

Il procedimento aperto oggi di fronte alla Corte d’Assise di Roma potrebbe veder sfilare, in qualità di testimoni, ex premier, ex ministri, e funzionari che hanno ricoperto, all’epoca del drammatico omicidio, ruoli apicali nei servizi di sicurezza e alla Farnesina. Le parti processuali hanno depositato all’attenzione dei giudici della prima Corte d’Assise la lista testi chiedendo di convocare a piazzale Clodio anche l’attuale presidente della Repubblica egiziana, Abdel Fattah al-Sisi.

Giulio Regeni, il ricercatore triestino rapito, torturato e ucciso al Cairo nel 2016

Tra le persone “citate” e sui quali dovranno esprimersi i giudici anche l’ex premier Matteo Renzi e l’ex ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. E ancora: Marco Minniti, ex responsabile della autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, i tre capi dei servizi segreti che si sono succeduti nel tempo e l’allora segretario generale della Farnesina, Elisabetta Belloni oltre all’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi.

Giulio Regeni era un dottorando italiano dell’università di Cambridge che si trovava al Cairo per alcune ricerche sui sindacati locali. Il 25 gennaio del 2016 fu sequestrato, e il suo corpo venne trovato una settimana dopo in una strada nella periferia della capitale egiziana con molte contusioni, fratture e abrasioni. Tutte le dita delle mani e dei piedi erano rotte, e aveva segni di bruciature di sigarette e coltellate, anche sotto la pianta dei piedi: evidenti segni di tortura.

Fin da subito si pensò che il giovane fosse stato ucciso per motivi politici, a causa del suo lavoro di ricerca sui sindacati e sui diritti dei lavoratori. Le autorità egiziane, e soprattutto i servizi segreti, negarono però qualsiasi coinvolgimento. Citarono varie versioni per spiegare la morte di Regeni: parlarono prima di un incidente stradale, poi di un omicidio avvenuto nell’ambito di una relazione omosessuale e anche di un regolamento di conti tra trafficanti di droga. Tutte ricostruzioni smentite dalle successive indagini, nonostante i molti tentativi di depistaggio delle autorità egiziane.

Per quanto difficile possa apparire il compito di approdare ad una verità giudiziaria sulla morte di Regeni, e ancor di più rendere esecutiva un’eventuale condanna, la sola apertura del processo rende giustizia ai genitori del giovane triestino, che con tenacia e misura in tutti questi anni non hanno mai smesso di cercare la verità sull’atroce fine del figlio. Oggi è una giornata molto importante”, hanno detto Claudio e Paola Regeni, prima di entrare a piazzale Clodio per l’udienza.

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