Quando voler fare troppe cose assieme ci spinge a non concluderne nessuna

La soluzione per non cader vittime della nuova sindrome da “Context Switching”? Staccarsi dalla tecnologia. Almeno per un po’.

Roma – Capita spesso di voler iniziare qualcosa con l’idea di portarla a termine, ma poi non si riesce a farlo. Allora si stende il classico “velo pietoso” senza, peraltro, colpevolizzarsi troppo: sono cose che capitano nella vita quotidiana, le consideriamo banali tanto da non riuscire nemmeno a dar loro un nome. A farlo ci ha pensato la scienza, che ha deciso di studiare il fenomeno e lo ha definito “Sindrome da Context Switching”. La locuzione è mutuata dall’informatica e indica “il processo di memorizzazione e ripristino dello stato di un processo in un sistema operativo di computer. È una forma di multitasking che consente a un computer di eseguire più attività contemporaneamente”.

Ecco qual è la sindrome più diffusa nella società informatizzata: voler fare più cose contemporaneamente, col risultato che non si riesce a portarne a termine nemmeno una! Anche quando si lavora, si sta sempre con lo smartphone pronto all’uso per prendere nota di qualsiasi mail, pubblicità o consigli per gli acquisti tramite Whatsapp o Instagram. E poi arriva un messaggio che ricorda che nel pomeriggio devi portare i bambini in palestra o qualche familiare ad una visita medica e così via, in un vortice annientante. Tutto alla fine soggiorna nel regno dei compiti iniziati e mai terminati. Ci si dimentica persino dell’ultima volta in cui si è stati concentrati per una buona mezz’ora su un’attività da svolgere.

Gli SMS possono essere decisamente troppo invadenti e invasivi

Probabilmente l’ultima volta è successo quando gli smartphone erano in là da venire e l’unico intruso, al massimo, poteva essere un sms. Non ci voleva un mago per intuire che questo sbriciolamento dell’energia e della concentrazione avrebbe compromesso in maniera subdola la produttività. L’American Psychological Association, prestigiosa associazione di categoria che rappresenta gli psicologi negli USA, ha ipotizzando che il cervello lavori come un computer. In questo modo ha etichettato il mutamento delle “impostazioni di controllo mentale” dell’uomo quando si passa ad una nuova incombenza. Se per molte epoche storiche questa connotazione cognitiva è stata di enorme aiuto per gli esseri umani e fondamentale nella loro evoluzione, ora sta emergendo l’esigenza di concentrarsi su un obiettivo per volta. Soprattutto si sta imponendo l’idea di impegnarsi a tralasciare propositi non realizzabili.

Le tecnologie digitali stanno fagocitando sempre di più la nostra attenzione

Il “Contest Switching” non è qualcosa di inconsueto né è giunta all’improvviso. Il nostro cervello è un organo stimolato dalle novità da cui è attratto, ma la sindrome si sta accentuando per varie cause. Innanzitutto, non c’è mai stata un’epoca storica come quella attuale, in cui ci si trova a dover elaborare un gran numero di informazioni contemporaneamente. Le possibilità di esserne attratti e distratti sono elevatissime, come mai è avvenuto finora nella storia umana. Questo è il frutto della progettazione dell’intera struttura digitale, che ha un unico e solo scopo: attirare la nostra attenzione h24. Le strategie alla base di questo processo sono basate sui concetti dell’“eye tracking” (oculometria), un processo che monitora i movimenti oculari allo scopo di determinare il punto in cui un soggetto-cavia sta guardando, cosa sta osservando e per quanto tempo il suo sguardo indugia in quel determinato punto dello spazio. Il tutto allo scopo di “indirizzarvi” più efficacemente il marketing.

Inoltre, si cade spesso vittime del timore di perdere qualcosa di importante che possa offrirci informazioni utili per il nostro lavoro, e che giungono proprio mentre siamo impegnati a fare altro. Per uscire dal tunnel, l’unica cosa da fare è programmare le attività impegnandoci a rispettarle, staccandosi dai marchingegni informatici e isolandosi dal mondo per un’ora al giorno, facendosi scivolare tutto addosso. Solo così si può evitare di farsi intrappolare in meccanismi subdoli che provocano un’altra sindrome perniciosa, quella del “burnout”. D’altronde, la civiltà umana è arrivata fin qui senza smartphone, quindi ne possiamo fare a meno. Almeno per un po’.

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