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Processo Mollicone, un teste rompe il silenzio: “Entrò in caserma e non ne uscì”

Marco Malnati riferisce in Aula quanto confidatogli dal brigadiere Santino Tuzi, morto suicida 16 anni fa. “Non avevo parlato per timore, ma adesso se mi devono ammazzare lo facessero pure”.

ROMA – Colpo di scena in Corte d’Assise e d’Appello durante il processo di secondo grado per l’omicidio di Serena Mollicone, 18 anni, morta ammazzata il 1 giugno 2001: un nuovo testimone riferisce ai giudici un’importante confidenza di Santino Tuzi, il brigadiere dei carabinieri morto suicida 16 anni fa.  Si tratta di Marco Malnati, amico e compare del sottufficiale che qualche giorno prima di spararsi al petto con la pistola d’ordinanza aveva confessato di aver visto Serena entrare nella caserma dei carabinieri di Arce senza più uscirne.

Il processo di secondo grado in corso. Per Luglio attesa la sentenza.

Sfidando paure e intimidazioni il teste ha snocciolato ai giudici la sua verità rompendo il silenzio dopo 23 anni dalla morte della ragazza:

Santino mi disse che lui aveva visto Serena entrare in caserma e non l’aveva più vista uscire – ha rivelato Malnati – me lo disse tra il 2007 e il 2008 in un bar dove andavamo…Prima avevo paura ma adesso le figlie sono grandi…Prima non avevo parlato per timore, ma adesso se mi devono ammazzare lo facessero pure”.

Malnati ha ricordato il giorno del ritrovamento del cadavere di Santino, l’11 aprile 2008, in località Sant’Eleuterio, vicino la diga di Arce. In quell’occasione il testimone, davanti alle telecamere, si lasciò andare ad una considerazione che era tutto un programma: “Gli hanno tappato la bocca”, riferendosi alla morte di Tuzi. Malnati ha chiarito perché in passato avesse negato che il carabiniere gli avesse riferito qualcosa d’importante sulla tragica vicenda: “Non ho più fiducia nella giustizia ed anche se non posso dire di aver ricevuto minacce non mi fido più di nessuno”. L’istruttoria del processo si è conclusa dopo le dichiarazioni degli altri tre testimoni, Luigi Germani, Danilo Tomaselli e Giuseppe D’Ammasso. I primi due avrebbero ammesso di essere amici di Marco Mottola, per entrambi il giovane era assuntore e spacciatore di droga.

Santino Tuzzi

Lo spaccio sarebbe avvenuto nella piazza principale di Arce, all’interno dei giardinetti e, addirittura, vicino la caserma dei carabinieri. Il gruppo di amici dei quali faceva parte Marco Mottola sarebbe stato definito “Fantastico” per via delle bravate dei protagonisti che si vantavano di spacciare e rubare oro nelle abitazioni del paese. Anche Giuseppe D’Ammasso sarebbe stato amico di Marco Mottola. Il figlio del maresciallo dei carabinieri di Arce sarebbe stato visto dallo stesso D’Ammasso discutere con Serena in piazza durante i festeggiamenti in onore di San Eleuterio. I rapporti fra i due giovani sembravano molto tesi e Serena morirà alcuni giorni dopo:

”Tre testimoni hanno confermato quanto detto in primo grado, cioè che assumevano droga e che Marco Mottola oltre ad assumerla, la spacciava – ha commentato Maria Tuzi, figlia del brigadiere morto suicida – L’unico tra questi testimoni che ha scelto una strada diversa nel momento in cui arriva la droga ad Arce, è Luigi Germani. Ma la sorpresa è stato Marco Malnati, il quale ha dichiarato che mio padre gli aveva confidato di aver visto Serena entrare in caserma e di non averla vista uscire. Ha detto che non ha parlato prima perché temeva per la sua vita e per quella dei suoi familiari. Adesso però ha deciso di liberarsi la coscienza per sempre e usando le sue stesse parole: occhio per occhio, e ha iniziato a parlare…Io voglio ringraziare pubblicamente questa persona che ha avuto coraggio ed è stato un grande esempio, ma soprattutto ha collaborato nel dare giustizia a Serena e a mio padre. Si è conclusa la fase dibattimentale, il 10 giugno inizierà la discussione, non c’è ancora la data precisa per la sentenza, ma non è lontana”.

Maria Tuzi

Il 30 maggio prossimo il procuratore generale Francesco Piantoni farà la propria requisitoria dunque la sentenza, salvo rinvii, è attesa per la prima settimana di luglio. Franco Mottola, ex comandante della caserma dei carabinieri di Arce, il figlio Marco, la moglie Annamaria e i due carabinieri, Vincenzo Quatrale e Francessco Suprano, all’epoca dei fatti in servizio nella caserma del paese ciociaro, sono stati tutti assolti in primo grado con formula piena.

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