Tra scandali, sentenze e crisi di fiducia: un viaggio nei rapporti torbidi tra potere e legalità.
La politica italiana ha sempre vissuto un rapporto complesso e tormentato con la giustizia. Dal terremoto di Mani Pulite degli anni ’90, che spazzò via la Prima Repubblica, ai casi più recenti che continuano a scuotere le istituzioni, le aule dei tribunali hanno visto sfilare figure di primo piano di tutti gli schieramenti politici. Un fenomeno che non conosce confini ideologici ma che ha ridisegnato carriere, partiti e la stessa credibilità delle istituzioni democratiche, lasciando cicatrici profonde nel rapporto tra cittadini e politica.
Il centro-destra: l’epicentro delle condanne
Il centro-destra si conferma l’area politica maggiormente toccata dalle condanne definitive, soprattutto per reati legati alla corruzione, agli appalti truccati e ai rapporti con ambienti criminali. Un’emorragia di credibilità che ha attraversato decenni e generazioni politiche diverse.
I colossi caduti
Il caso più emblematico resta quello di Roberto Formigoni, lo storico governatore lombardo che nel febbraio 2019 si è costituito nel carcere di Bollate dopo la condanna definitiva a 5 anni e 10 mesi per corruzione. Il “Celeste”, come era soprannominato Formigoni per la sua fede calcistica interista e le sue posizioni cattoliche, è stato riconosciuto colpevole di aver ricevuto “utilità” stimate in 8 milioni di euro – tra vacanze di lusso alle Bahamas, soggiorni in Sardegna e contanti – in cambio di finanziamenti pubblici per 200 milioni alle strutture sanitarie private, in particolare la fondazione Maugeri e il San Raffaele. Un sistema che ha sottratto circa 60 milioni di euro alla sanità pubblica lombarda, tradendo la fiducia di milioni di cittadini che si affidavano al sistema sanitario regionale.

Marcello Dell’Utri, storico cofondatore di Forza Italia, rappresenta uno dei casi più clamorosi. Il braccio destro di Silvio Berlusconi è stato condannato definitivamente nel 2014 a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. I giudici della Cassazione hanno ritenuto Dell’Utri non un semplice trait d’union ma un vero e proprio “mediatore contrattuale” del patto di protezione tra Berlusconi da una parte e Cosa Nostra dall’altra. La sentenza ha certificato rapporti con la mafia dalla metà degli anni ’70 fino al 1992, gettando ombre inquietanti sugli albori del berlusconismo. Dell’Utri scontò la pena fino al 2019 ma nel 2024 la Procura di Firenze ha chiesto nuovamente il rinvio a giudizio per lui e la moglie per non aver dichiarato 42 milioni di euro di bonifici ricevuti da Berlusconi, violando la legge antimafia.
Giuseppe Caruso, esponente di Fratelli d’Italia ed ex presidente del consiglio comunale di Piacenza, ha ricevuto nel 2023 una delle condanne più pesanti degli ultimi anni: 12 anni e 2 mesi per associazione mafiosa, con un risarcimento di un milione di euro al Comune per la sua vicinanza alla cosca dei Grande Aracri. Una condanna che ha scosso il partito di Giorgia Meloni proprio mentre si preparava alla vittoria elettorale.

Nicola Cosentino, ex sottosegretario all’Economia con Forza Italia durante il governo Berlusconi, è stato condannato nel 2023 a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa nel processo Eco4, legato alla gestione criminale dei rifiuti in Campania. La sua figura ha incarnato il lato più oscuro della politica campana, con legami che si estendevano fino alle cosche locali.
Gli avvocati del potere
Cesare Previti, storico legale di Berlusconi e ministro della Difesa nel primo governo di centrodestra, ha totalizzato due condanne definitive: nel 2006 la Cassazione lo ha condannato a 6 anni per corruzione in atti giudiziari nel processo IMI-SIR, mentre nel processo SME-Mondadori è stato condannato a 5 anni per corruzione semplice. Le sue condanne hanno riguardato la corruzione di magistrati per favorire gli interessi dell’impero berlusconiano, un sistema di influenze che ha minato alle fondamenta la credibilità della giustizia italiana.
I casi più recenti
Augusta Montaruli, deputata di Fratelli d’Italia, ha dovuto lasciare il governo nel febbraio 2023 dopo la condanna definitiva a un anno e sei mesi per peculato nello scandalo delle “spese pazze” del consiglio regionale piemontese. Il suo caso ha dimostrato come il malcostume amministrativo continui a colpire anche le nuove generazioni politiche.

La memoria collettiva conserva ancora la condanna storica a Silvio Berlusconi del 2013 per frode fiscale nelle società Mediaset, che gli costò quattro anni di pena (poi scontati con i servizi sociali) prima della riabilitazione nel 2018. Un verdetto che segnò la fine di un’epoca, costringendo il Cavaliere a lasciare temporaneamente la scena politica attiva.
Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma ed ex ministro dell’Agricoltura, ha visto diventare esecutiva nel 2025 la condanna per traffico d’influenze nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale, chiudendo definitivamente una carriera politica iniziata nei movimenti giovanili di destra e culminata a Palazzo Chigi.
Il centro: meno casi ma altrettanto significativi
L’area centrista ha registrato numericamente meno condanne ma non per questo meno rilevanti dal punto di vista politico e simbolico. La dissoluzione della Democrazia Cristiana ha lasciato strascichi giudiziari che si sono protratti per decenni.
Gianstefano Frigerio, ex democristiano poi vicino a Forza Italia, è stato condannato definitivamente a 3 anni e 4 mesi per corruzione negli appalti legati a Expo Milano 2015. Il suo caso ha dimostrato come il sistema di tangenti sui grandi eventi non si fosse mai davvero interrotto, adattandosi ai nuovi scenari.
Il caso di Matteo Renzi rappresenta un’eccezione: nonostante anni di vicende giudiziarie che hanno occupato le cronache (dalla fondazione Open agli incarichi dei genitori), l’ex premier non ha mai ricevuto condanne penali definitive, dovendo affrontare solo una sanzione contabile della Corte dei Conti per i costi eccessivi del referendum costituzionale del 2016.

Raffaele Fitto, attuale commissario europeo, ha vissuto un calvario giudiziario durato 17 anni: condannato in primo grado nel 2013 a 4 anni per corruzione, finanziamento illecito ai partiti e abuso d’ufficio per una presunta tangente di 500mila euro, è stato poi assolto definitivamente dalla Cassazione.
La sinistra: mano condanne ma ad alto impatto simbolico
Il centro-sinistra presenta meno condanne in termini numerici ma alcune hanno avuto un forte impatto mediatico e politico, spesso riguardando figure simboliche o casi che hanno colpito l’immaginario collettivo.
Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace e simbolo dell’accoglienza diffusa, è stato condannato nel 2023 a un anno e sei mesi per falso in atto pubblico, con pena sospesa. Inizialmente accusato di associazione a delinquere per la gestione del sistema di accoglienza dei migranti, Lucano ha visto cadere le accuse più gravi, ma la sua condanna per irregolarità amministrative ha comunque segnato la fine di un’esperienza che aveva ottenuto riconoscimenti internazionali.

Chiara Appendino, ex sindaca di Torino con il Movimento 5 Stelle, ha visto confermata nel gennaio 2025 la condanna definitiva a un anno, cinque mesi e ventitré giorni per disastro colposo, omicidio colposo e lesioni colpose plurime in relazione alla tragedia di piazza San Carlo del 2017. Durante la proiezione della finale di Champions League si verificò il panico che causò la morte di due donne e il ferimento di oltre 1.500 persone. La condanna ha segnato tragicamente la fine dell’esperienza amministrativa pentastellata nel capoluogo piemontese.
Un caso internazionale è quello di Ilaria Salis, eletta al Parlamento europeo con l’Alleanza Verdi e Sinistra, che porta con sé condanne definitive in Ungheria per episodi di violenza e resistenza a pubblico ufficiale legati alle manifestazioni antifasciste di Budapest. La sua elezione ha sollevato un dibattito sul rapporto tra immunità parlamentare e giustizia internazionale.
Il Movimento 5 Stelle: le contraddizioni dell’anti-sistema
Anche il Movimento 5 Stelle, nato con la promessa di “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno” e di spazzare via la “casta”, non è stato immune dalle condanne giudiziarie. Nel 2024 sono stati condannati per corruzione alcuni esponenti del M5S che a Roma gestirono il dossier sullo stadio.

Il caso più eclatante riguarda Virginia Raggi, che pur non essendo stata condannata definitivamente, ha dovuto affrontare numerosi processi durante il mandato da sindaca di Roma, incarnando le contraddizioni di un movimento che prometteva la fine della politica tradizionale ma si è trovato invischiato negli stessi meccanismi di potere che criticava.
I grandi processi che hanno segnato un’epoca
Il sistema politico italiano ha conosciuto la sua più grande rivoluzione giudiziaria con l’inchiesta Mani Pulite, iniziata il 17 febbraio 1992 con l’arresto di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano. Quel piccolo fatto di cronaca milanese innescò un terremoto che spazzò via l’intera classe dirigente della Prima Repubblica.
Migliaia di avvisi di garanzia, centinaia di arresti, decine di suicidi: Mani Pulite non si limitò a colpire singoli individui ma mise a nudo un sistema di corruzione che aveva le sue radici nella ricostruzione post-bellica e si era consolidato durante il boom economico. Partiti storici come la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista scomparvero dalla scena politica, aprendo la strada alla nascita della Seconda Repubblica.
Il sistema Berlusconi sotto processo
L’era berlusconiana ha rappresentato un capitolo particolare nella storia dei rapporti tra politica e giustizia in Italia. Oltre alle condanne già citate di Dell’Utri e Previti, l’impero mediatico-politico del Cavaliere è stato oggetto di decine di inchieste giudiziarie che hanno segnato la vita politica italiana per tre decenni.
Il processo Mills-Berlusconi per corruzione internazionale, quello per i diritti tv di Mediaset, le inchieste sui rapporti con la mafia: ogni fase della carriera politica di Berlusconi è stata accompagnata da vicende giudiziarie che hanno alimentato uno scontro istituzionale senza precedenti tra politica e magistratura.
Mafia Capitale
L’inchiesta su Mafia Capitale, che ha portato alla condanna di Gianni Alemanno, ha svelato un sistema di corruzione che aveva trasformato Roma in una colonia di interessi criminali.

Il gruppo guidato da Massimo Carminati e Salvatore Buzzi aveva creato una rete di complicità che si estendeva dalla gestione dei campi nomadi agli appalti per l’emergenza immigrati, dal trasporto pubblico alla raccolta rifiuti.
Le condanne dal 2000 a oggi
La storia recente della giustizia italiana è scandita da sentenze che hanno segnato la cronaca politica:
2000-2010: gli strascichi di Mani Pulite
- 2006: Condanna definitiva di Cesare Previti per corruzione in atti giudiziari
- 2008: Inizio del processo Dell’Utri che si concluderà nel 2014
2010-2020: l’era delle grandi condanne
- 2013: Berlusconi condannato per frode fiscale
- 2014: Dell’Utri condannato definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa
- 2019: Roberto Formigoni si costituisce in carcere dopo la condanna definitiva
2020-2025: la nuova ondata
- 2023: anno nero con le condanne a Giuseppe Caruso (12 anni per mafia), Nicola Cosentino (10 anni per mafia), Augusta Montaruli (peculato), Mimmo Lucano (falso in atto pubblico)
- 2025: Gianni Alemanno per traffico d’influenze, Chiara Appendino per la tragedia di piazza San Carlo

I numeri del fenomeno: un Parlamento sotto inchiesta
I dati fanno impressione: secondo un’analisi del 2022, almeno 40 parlamentari tra condannati, imputati e indagati sono entrati in Parlamento nell’ultima legislatura, con il centrodestra che domina con 26 esponenti, guidato dalla Lega con 10 casi, seguita da Fratelli d’Italia con 8.
Il fenomeno non è nuovo: già nel 2014, Il Fatto Quotidiano aveva contato cento parlamentari condannati, imputati, indagati e prescritti che sedevano tra Montecitorio e Palazzo Madama. Un numero impressionante che dimostra la dimensione strutturale del problema.
Il fenomeno dei politici condannati ha conseguenze che vanno ben oltre la singola vicenda giudiziaria, minando alle fondamenta il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni democratiche.
L’antipolitica come risposta
La presenza costante di politici sotto inchiesta o condannati ha alimentato l’antipolitica, creando un circolo vizioso in cui la sfiducia nelle istituzioni genera populismo, che a sua volta produce una selezione della classe dirigente spesso inadeguata. Non è un caso che i movimenti antipolitici abbiano raccolto consensi proprio nelle fasi di maggiore esposizione mediatica dei processi a carico di esponenti politici.
Quando un candidato con problemi giudiziari viene eletto, la competizione democratica risulta distorta. Gli elettori si trovano a dover scegliere non solo tra programmi e visioni politiche diverse ma anche tra diversi livelli di “pulizia” giudiziaria dei candidati. Questo ha portato, in alcuni casi, all’elezione di rappresentanti del popolo che poi si sono dovuti dimettere per sopraggiunte condanne.
Il costo economico della corruzione
Le condanne per corruzione rappresentano solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che costa miliardi di euro all’anno al sistema Italia. Ogni tangente pagata, ogni appalto truccato, ogni concessione ottenuta illecitamente sottrae risorse alla collettività e distorce la concorrenza, danneggiando l’economia nel suo complesso.
Le riforme
L’approvazione della legge Severino nel 2012 ha rappresentato un punto di svolta, introducendo l’incandidabilità e la decadenza automatica per gli eletti condannati per gravi reati contro la pubblica amministrazione. La legge ha già prodotto i suoi effetti, costringendo alle dimissioni diversi amministratori locali e parlamentari.

Tuttavia, la legge presenta anche dei limiti: si applica solo alle condanne definitive, lasciando spazio a lunghe attese processuali durante le quali l’eletto può continuare a esercitare le sue funzioni. Inoltre, non copre tutti i reati che potrebbero essere rilevanti per l’esercizio di funzioni pubbliche.
Le norme anticorruzione
Le leggi anticorruzione approvate negli ultimi anni hanno introdotto maggiori controlli e trasparenza nell’azione amministrativa ma il percorso è ancora lungo. L’istituzione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) e l’introduzione di nuovi reati come il traffico d’influenze hanno rafforzato gli strumenti di contrasto, ma la prevenzione resta più efficace della repressione.
La mobilitazione dell’opinione pubblica ha portato alla sospensione dei vitalizi per i parlamentari condannati. La petizione più imponente della storia italiana, con oltre 350.000 firme, ha dimostrato la sensibilità dei cittadini su questi temi. L’Italia non è l’unico Paese europeo a dover fare i conti con scandali di corruzione politica, ma presenta alcune specificità che la distinguono.
La lunghezza dei processi italiani rappresenta un problema specifico: mentre in altri Paesi del Vecchio Continente le vicende giudiziarie si concludono in tempi ragionevoli, in Italia possono durare decenni, permettendo agli imputati di continuare la loro carriera politica fino alla sentenza definitiva. Il sistema mediatico italiano, caratterizzato da una forte concentrazione proprietaria e da legami con il potere politico ed economico, ha spesso contribuito a polarizzare il dibattito sui processi, trasformandoli in scontri ideologici piuttosto che momenti di accertamento della verità.
Il vero problema non solo solo le condanne ma la difficoltà strutturale della politica italiana di rinnovarsi davvero. I partiti continuano spesso a selezionare candidati sulla base di logiche di potere piuttosto che di competenza e onestà, perpetuando un sistema che produce inevitabilmente nuovi scandali. La responsabilità non è solo della classe politica, ma anche dei cittadini-elettori. Ogni volta che un candidato con problemi giudiziari viene eletto, si invia un messaggio di tolleranza verso comportamenti che dovrebbero essere inaccettabili in una democrazia matura.
Il problema non è solo la presenza di corrotti o collusi ma il fatto che spesso continuino a ricoprire incarichi fino all’ultimo giorno utile, alimentando la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni. Il fenomeno dei politici condannati è molto più che mera cronaca giudiziaria: è lo specchio di un Paese che fatica a fare i conti con sé stesso, con la sua storia e con le sue contraddizioni.
Il messaggio che arriva dalle aule giudiziarie è chiaro e inequivocabile: la corruzione e la cattiva politica non hanno bandiera né colore, non conoscono distinzioni ideologiche o geografiche. Attraversano trasversalmente tutto l’arco parlamentare, da destra a sinistra, dal Nord al Sud, dai grandi partiti ai movimenti che si presentano come “antisistema” e poi finiscono per camminare a braccetto con il sistema.