Onore e responsabilità il diktat di Meloni

Il discorso programmatico è stato tutto un susseguirsi di analisi su base generale. Quando la Premier avrà in mano i conti dello Stato allora si che dovrà pesare le parole e passare ai fatti. E non c’è tempo da perdere. All’opposizione non rimane altro che supportare le iniziative mirate a risolvere i gravi problemi del Paese.

Roma – Tutti gli occhi su Giorgia Meloni, la quale concluse le operazioni preliminari e complementari di insediamento, avverte tutti che oltre l’onore ci deve essere la responsabilità di affrontare le emergenze del Paese con un cambio di passo. La premier incassa, comunque, dopo il discorso programmatico la fiducia alla Camera ed al Senato, così al timone della nave Italia cerca di disincagliarsi dagli scogli del pregiudizio che, in ogni caso, nelle rilevazioni del gradimento popolare la pongono al di sopra di Draghi.

Comunque stiano le cose una nuova leadership sembra emergere nel panorama politico nazionale. Il timore adesso è che alcuni leader della maggioranza possano concentrarsi più sulla curva dei sondaggi che sui dati del Pil, della disoccupazione e dello stato di sofferenza del Paese. D’altronde a questo governo si potrà dire qualsiasi cosa tranne quella di essere nato con il favore dei mass media. Anzi c’è una certa diffidenza e giudizi negativi a prescindere dai fatti. Ovvero molta ostilità. La premier, tuttavia, si è detta certa che con l’impegno di tutti questo esecutivo potrà essere “una bella sorpresa”. Ma il vero problema è l’unità della coalizione.

Giorgia Meloni / Licia Ronzulli

In sostanza per essere all’altezza del compito, inutile nasconderlo, bisogna che si dimostri l’esistenza di una vera squadra, evitando fughe in avanti, personalismi e di alimentare conflitti. Ma la presidente del Consiglio sa bene che certe recriminazioni si faranno sentire ancora nei prossimi giorni quando bisognerà completare il quadro dei sottosegretari e dei vice ministri. In particolare Forza Italia e Silvio Berlusconi ritengono di aver ottenuto meno di quanto le percentuali elettorali gli avrebbero dovuto garantire. Ancora pesano i due no di Meloni alla richiesta di un ministero per Licia Ronzulli e della Giustizia per Maria Elisabetta Alberti Casellati. Ma tant’è.

Adesso il leader azzurro vuole risposte chiare che lo riscattino dal ruolo secondario a cui è stato costretto non tanto dall’esito del responso elettorale quanto dalla Meloni. Insomma si apre una nuova partita sulla quale avrà certamente un peso la guerra interna al partito, diviso tra i filomeloniani vicini ad Antonio Tajani e quelli di fede ronzulliana, ma sarebbe meglio dire berlusconiani di stretta osservanza, che con la presidente del Consiglio ritengono di avere ancora qualche conto in sospeso. Il decollo del governo, quindi, non calma le acque in Forza Italia che, dietro il ciclone Berlusconi, si è ritrovata divisa, tanto che il vicepresidente della Camera Mulè chiede a Tajani e Bernini di fare un passo indietro nel partito.

Mulè chiede a Tajani e Bernini le dimissioni al partito

Nella Lega poi viene sottolineato che le deleghe per il Mare e per il Sud, attribuite a Musumeci, non sottrarranno competenze al ministero delle Infrastrutture affidato, invece, a Salvini. Precisazioni opportune ma “pelose”. Cioè si è ancora in una fase in cui nonostante la schiacciante vittoria di FdI, gli altri alleati intendono difendere il proprio status politico e la propria identità non tanto “valoriale”, ma di esclusivo potere onde evitare straripanti derive verso il vero ed unico vincitore delle elezioni, Fratelli d’Italia.

Per quanto attiene al discorso programmatico di ieri qualcuno ha malignato che Meloni ha detto tutto e niente. Ovvero meglio fare un manifesto che un programma. Ma chi pensa questo sbaglia. Quando la Premier avrà in mano i conti dello Stato allora si che dovrà pesare le parole e passare ai fatti. Non prima. Gli italiani adesso l’aspettano al varco.

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