L’avvocato Roffo chiede l’assoluzione piena per Anna Lucia Cecere. Sentenza attesa per metà gennaio sul delitto di Chiavari del 1996.
Chiavari – Si avvicina il momento della verità per uno dei cold case più discussi della cronaca italiana. Il 15 gennaio è prevista la sentenza nel processo per l’omicidio di Nada Cella, la segretaria venticinquenne uccisa nel 1996 nell’ufficio del commercialista Marco Soracco a Chiavari. Sul banco degli imputati c’è Anna Lucia Cecere, accusata del delitto a distanza di tre decenni dai fatti.
La difesa dell’imputata, rappresentata dall’avvocato Giovanni Roffo, ha presentato una memoria conclusiva che demolisce punto per punto, stando a quanto riferisce il legale, la ricostruzione dell’accusa, evidenziando quella che definisce una concatenazione di errori investigativi e interpretativi.
Secondo i pubblici ministeri, la Cecere avrebbe colpito a morte la giovane segretaria spinta da un duplice movente: l’aspirazione a subentrare nel ruolo professionale occupato dalla vittima e, forse, anche il desiderio di conquistare le attenzioni sentimentali del datore di lavoro. Una teoria che però, secondo la difesa, si regge su fondamenta fragili.
“Non esiste alcun elemento materiale che collochi la mia assistita sulla scena del crimine”, ha dichiarato l’avvocato Roffo nella sua arringa. Il legale ha posto l’accento su un particolare che considera cruciale: “Risulta illogico immaginare che dopo aver commesso un omicidio, l’assassino si preoccupi di staccare dei bottoni dalla vittima e invece di disfarsene li conservi per anni”.
Ma c’è un altro aspetto che la difesa ritiene determinante: l’identificazione visiva. Alcuni testimoni sostengono di aver visto l’imputata nelle vicinanze dell’ufficio il giorno del delitto. Tuttavia, come ha sottolineato Roffo, la somiglianza fisica tra Anna Lucia Cecere e la stessa Nada Cella era notevole. Il confronto tra le fotografie della vittima, dell’accusata e l’identikit realizzato all’epoca mostra analogie evidenti che potrebbero aver generato uno scambio di persona.
“Chi afferma di averla riconosciuta potrebbe in realtà aver visto la vittima stessa”, ha argomentato il difensore, mettendo in discussione l’attendibilità delle identificazioni testimoniali, pilastro dell’impianto accusatorio.
Nella sua memoria difensiva, l’avvocato Roffo ha formulato una richiesta chiara: “Ho chiesto in via principale l’assoluzione della mia assistita con la formula ‘per non aver commesso il fatto'”. Una richiesta che si basa sull’assenza di riscontri oggettivi che leghino la Cecere all’omicidio.
In subordine, la difesa ha sollevato anche la questione della prescrizione del reato, aprendo un’ulteriore possibilità per un’eventuale conclusione del procedimento che non comporti una condanna.