Si sarebbe trattato di suicidio dunque non c’è colpevole. I dubbi però rimangono sulla morte di Carabellò, sparito nel 2015 mentre il cadavere veniva scoperto sei anni dopo. Le stranezze non mancano e anche un probabile movente.
BOLOGNA – Chiuso il caso della morte di Biagio Carabellò, 46 anni, sparito nel capoluogo felsineo il 23 novembre 2015 i cui resti venivano sei anni dopo, il 23 marzo 2021, in un’area dismessa di via Romita. Il Gip Alberto Ziroldi ha archiviato l’inchiesta sulla morte dell’uomo accogliendo la richiesta del Pm Elena Caruso. Il giudice Ziroldi non avrebbe rilevato elementi a carico dei due indagati per omicidio ovvero l’ex coinquilino della vittima e la donna che ereditò i beni della compagna per via di un testamento che poi si rivelò falso.
L’uomo era stato visto per l’ultima volta tra le 9.30 e le 10 del 23 novembre 2015 presso il poliambulatorio di via Tiarini, da dove poi si era allontanato senza lasciare tracce. Non vedendolo tornare a casa, dopo averlo atteso per un giorno intero, il suo coinquilino dava l’allarme. Carabellò aveva il cellulare spento, non aveva lasciato biglietti di addio o di giustificazione per una fuga volontaria, carta d’identità e soldi erano riposti sul tavolo di casa assieme ad altri effetti personali compresi i medicinali che l’uomo aveva ritirato nel poliambulatorio. Le medicine verranno ritrovate dentro l’armadio di casa. Che strano. Il Ris troverà nell’abitazione anche una giacca sporca del sangue di Biagio, altra stranezza. Il fratello Sergio e la sorella Susanna, dopo averlo cercato invano, si rivolgevano ai carabinieri per la sparizione del congiunto.
Il Pm Stefano Orsi apriva un fascicolo con l’ipotesi di sequestro di persona ma le indagini non davano esito alcuno tanto che l’inchiesta veniva archiviata. Nel 2016, proprio in casa dello scomparso, la sorella Susanna ritrovava un testamento olografo a firma di Elisabetta Filippini, 42 anni, fidanzata di Biagio, morta nel 2010. La donna lasciava due terzi dei propri beni al suo compagno e il resto ad una fondazione benefica. Mesi dopo spuntava un altro testamento, apparentemente olografo anche questo, in mano a tale Simona Volpe, amica della defunta benefattrice, diventata erede universale.
A questo punto le indagini venivano riaperte su istanza della famiglia Carabellò, rappresentata dall’avvocato Barbara Iannuccelli, a cui la Procura di Bologna dava un seguito aprendo un nuovo fascicolo per falso e sequestro di persona. I familiari dell’operaio sparito nel nulla chiedevano e ottenevano una perizia calligrafica che veniva eseguita dalla grafologa Nicole Ciccolo. I due testamenti sarebbero stati scritti il primo in data 21 giugno del 2009 ed il secondo in pari data ma un anno dopo, cioè nel 2010. Nel secondo, quello che attribuiva il patrimonio all’amica della defunta, c’era un palese errore di grammatica, ritenuto anch’esso una stranezza considerato che Elisabetta Filippini era una persona di notevole cultura.
Le firme in calce dei due testamenti risultavano simili ma non identiche, soprattutto per l’iniziale del nome scritta in maniera difforme dall’originale. A questo punto i familiari di Biagio si convincevano sempre di più che il loro congiunto, divenuto un ostacolo in un presunto disegno criminoso, sarebbe stato rapito e ucciso ed il cadavere nascosto forse nello stesso posto dove poi è stato ritrovato. Simona Volpe veniva rinviata a giudizio per la falsificazione del testamento e si vedeva sequestrati, in via preventiva, tutti i beni mobili e immobili.
Il 23 ottobre 2018 Volpe veniva condannata a due anni di reclusione per falsificazione del lascito dal giudice Renato Poschi. Il movente per eliminare Biagio ci sarebbe stato tutto ma per il tribunale di Bologna non ci sarebbero assassini. La stessa autopsia eseguita sui resti del povero Biagio non ha potuto stabilire le cause del decesso attese le pessime condizioni della salma. Solo l’esame tossicologico pare abbia accertato che prima di spirare la vittima avrebbe assunto eroina, benzodiazepina e ketamina, che ne avrebbero potuto causare la morte. Forse una morte volontaria. Dunque caso chiuso:
”La famiglia Carabellò ha sempre creduto nella giustizia – ha detto l’avvocato Iannuccelli – e sa bene che l’archiviazione è una buona forma di cautela per evitare che un processo finisca con un’assoluzione senza avere più la possibilità di portare di nuovo a processo quella persona assolta. Cercheremo di stimolare di più la coscienza di chi sa come si sono svolti i fatti e non ha mai parlato. E al momento giusto chiederemo la riapertura del caso con questi nuovi elementi per fare avere a Biagio la giustizia che merita”.