Per i giudici di Modena Salvatore Montefusco, colpevole di un duplice femminicidio, ha agito per “motivi umanamente comprensibili”.
CASTELFRANCO EMILIA (Modena) – Aveva ucciso a fucilate la moglie e la figlia di lei: niente ergastolo per il doppio femminicidio, 30 anni bastano. Per i giudici della Corte di Assise di Modena Salvatore Montefusco, 71 anni, merita 30 anni di reclusione e non il fine pena mai, come aveva chiesto la Procura, per l’omicidio di Gabriela Trandafir, casalinga di 47 anni, e della figlia Renata Alexandra Trandafir di 22 anni, studentessa universitaria di Moda. L’uomo è stato dunque “graziato” anche in ragione della “comprensibilità umana dei motivi che hanno spinto l’autore a commettere il fatto reato”. Cosi è scritto nelle motivazioni del consesso giudiziario che ha considerato le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti per Montefusco, per altro reo confesso: “Arrivato incensurato a 70 anni – si legge in atti – non avrebbe mai perpetrato delitti di così rilevante gravità se non spinto dalle nefaste dinamiche familiari che si erano col tempo innescate”. Il duplice fatto di sangue si era consumato in una villetta di Cavazzona, frazione di Castelfranco Emilia, il 13 giugno 2022.
L’uomo, imprenditore edile in pensione originario di San Cipriano D’Aversa, nel Casertano, era balzato agli onori delle cronache negli anni ’90 per aver sparato diversi colpi di pistola contro alcuni alcuni camorristi che gli avevano chiesto il pizzo in cantiere. Una volta denunciato il fatto Montefusco aveva collaborato con la polizia tanto che la Squadra mobile aveva poi catturato i criminali che taglieggiavano in zona commercianti e appaltatori. L’uomo, soprannominato “Il Turbo” perché instancabile lavoratore, era stato già sposato una prima volta e da quel rapporto aveva avuto due figli.
Anni dopo aveva conosciuto Gabriela Trandafir con la quale aveva contratto un secondo matrimonio da cui era nato un figlio ancora minorenne. La donna, di origini rumene, aveva una figlia, Renata Alexandra, avuta da una precedente relazione ma bene accettata dal pensionato con il quale, però, non correva un buon rapporto. Dopo un paio d’anni dalle nozze i due avevano iniziato a litigare perché l’uomo, geloso, avrebbe trattato le due donne come un padre-padrone sino alla decisione di Gabriela che aveva esternato al marito la volontà di separarsi. I due si erano scambiati anche diverse denunce: la donna aveva accusato il pensionato di maltrattamenti e stalking ma la Procura aveva chiesto l’archiviazione per entrambe le ipotesi di reato ma Gabriela si era opposta. Nello stesso periodo si sarebbe tenuta anche l’udienza di separazione ma ormai fra moglie e marito era guerra aperta.
Dopo l’ennesimo, violentissimo alterco, provocato dal possesso di una villetta di proprietà del pensionato che poteva essere assegnata alle due donne se la moglie avesse vinto la causa di separazione, Montefusco si armava di fucile, per altro con matricola abrasa. Con il canne mozze in mano e mentre le due congiunte gridavano al pensionato di andarsene via da casa, l’uomo premeva il grilletto un paio di volte in direzione di Renata Alexandra che stramazzava al suolo in un lago di sangue. Dopo aver ricaricato la doppietta il pensionato premeva di nuovo il grilletto contro Gabriela che, raggiunta da diversi pallettoni, scivolava sul selciato fulminata dalla micidiale gragnuola di colpi. Montefusco usciva di casa per recarsi al bar del paese da dove faceva avvisare i carabinieri. I militari trasferivano l’uomo prima in caserma e poi in carcere a disposizione dell’autorità giudiziaria con l’accusa di duplice omicidio volontario. Poi il processo e la sentenza.
Quest’ultima ha suscitato non poche polemiche anche in ordine ad un “Black-out emozionale” e ad altre attenuanti che hanno contribuito ad alleggerire il verdetto. Per il collegio giudicante, presidente estensore Ester Russo, risulta “plausibile” che, come riferito da Montefusco, quando Renata gli disse ancora una volta che avrebbe dovuto lasciare la casa questo “abbia determinato nel suo animo, come dallo stesso più volte sottolineato – si legge nelle motivazioni – quel black-out emozionale ed esistenziale che lo avrebbe condotto a correre per prendere l’arma” e a uccidere le due donne che “mai e poi mai”, a sentire i testimoni, l’imputato non aveva mai minacciato di morte. Corrette o meno le sentenze si rispettano.