In vari Stati è reato: il pericolo è che si possa formare una sorta di mercato parallelo e clandestino, come capitò in Italia.
Gli Stati Uniti, una delle maggiori e antiche democrazie mondiali dopo la Gran Bretagna, stanno mostrando crepe nel loro sistema per quanti riguarda alcuni diritti civili come l’aborto. Sono ormai passati più di due anni, infatti, dall’annullamento della storica sentenza “Roe contro Wade” della Corte Suprema statunitense del 1973, considerata una pietra miliare nella giurisprudenza sull’aborto.
In precedenza ogni Stato aveva una propria legislazione in fatto di aborto. In particolare, 30 Stati lo consideravano reato di “common law”, cioè basato sui precedenti giudiziari, il sistema su cui si fonda l’ordinamento degli Stati Uniti. Una decisione che ha riportato le lancette della storia indietro di 50 anni, limitando l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza.
Non è che il divieto di abortire abbia impedito alle donne di farlo, tutt’altro. Sono oltre un milione, l’11% in più nei confronti del 2020, quelle costrette a peregrinare sostenendo viaggi anche di giorni per arrivare alla Terra Promessa, ovvero uno Stato in cui è ancora possibile interrompere la gravidanza.
Queste persone sono sostenute da associazioni che offrono un sostegno a chi decide di accedere ai servizi fuori dallo Stato originario. L’incremento è avvenuto nell’Illinois e New Mexico.
Sono numerose le donne, anche giovanissime, che hanno dichiarato che il vero trauma è stato il clima politico-sociale che si vive intorno a un tema così delicato come l’aborto più che il fatto in sé.
Essendo un argomento che ha a che con fare con i valori più profondi di una persona, il risultato è che, ovunque, si assiste ad una forte polarizzazione. Come ha verificato l’Istituto Guttmacher, una delle principali organizzazioni di ricerca e politica impegnata a promuovere la salute, i diritti sessuali e riproduttivi negli Stati Uniti e in tutto il mondo, le pazienti sono obbligate a compiere una sorta di viaggi della speranza, come succede spesso per chi ha necessita di terapie mediche non disponibili o insufficienti nelle proprie Regioni o Paese. Questo perché i servizi per l’aborto non sono più inseriti all’interno del servizio sanitario.
Secondo i dati diffusi dall’Istituto Guttmacher con l’annullamento della sentenza, molti Stati in cui in precedenza era possibile praticare l’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG), oggi vige il divieto assoluto. Ad esempio le donne delle Louisiana, uno degli Stati col semaforo rosso, devono rivolgersi ad altri Stati, fino a percorrere anche 1000 chilometri per giungere a destinazione.
Il problema è più sentito nella zona sud-est degli USA, dove tutti gli Stati hanno posto dei paletti molto rigidi, per cui il numero degli aborti del servizio sanitario è calato del 79% come nella Carolina del Sud. Mentre la percentuale di coloro che sono obbligate a viaggiare era del 3% nel 2020, a fine 2023 era del 42%. Addirittura non pago del divieto, questo Stato impone alle pazienti due viaggi per praticare IVG, il primo per la consulenza e l’altro per completare l’iter.
Data la conformazione geografica statunitense, succede spesso che bisogna passare per più confini prima di approdare alla meta finale. Ciò comporta anche enormi investimenti di risorse finanziarie ed ostacoli logistici. E’ assurdo che per avere assistenza sanitaria di base si è costretti a percorrere migliaia di chilometri, in una sorta di via crucis sulle pelle di donne, spesso, già in condizioni di disagio sociale per altre criticità.
Un ritorno ad un oscurantismo di stampo medievale, che non promette nulla di buono. Meno male che gli USA sono una democrazia, se non lo fosse, chissà cosa avrebbe combinato! E poi fa specie che, con un atto di imperio, possa essere abolito un diritto come l’aborto, frutto di tante battaglie da parte dei movimenti femministi per la difesa dei diritti civili.
Il pericolo è che si possa formare una sorta di mercato parallelo e clandestino, come è capitato in Italia, quando la legge sull’aborto non era in vigore!