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Morte di Stefano Dal Corso: un nuovo caso Cucchi?

Riaperte le indagini sul detenuto suicida a Oristano. La famiglia: “Non si è impiccato, è stato strangolato”. Un testimone: “Picchiato in carcere”. Richiesta ancora una volta l’autopsia.

ORISTANO (Sassari) – Riaperta l’inchiesta sulla morte di Stefano Dal Corso, il detenuto di 42 anni ritrovato cadavere in una cella della casa circondariale “Salvatore Soro” di Oristano-Massama. La famiglia della vittima, a cui è stata negata l’autopsia, ha sempre creduto che il congiunto sia stato picchiato sino a provocarne il decesso. Insomma un secondo caso Cucchi? Se cosi sarà o meno dovranno stabilirlo le nuove indagini, ufficialmente riaperte il 4 ottobre scorso, dopo un prima archiviazione per suicidio risalente al 3 luglio di quest’anno.

Stefano Dal Corso, la vittima

Dal Corso è un tossico che si rovina la vita con crack ed eroina. Il 4 ottobre dell’anno scorso il recluso Stefano Dal Corso, condannato per tentata estorsione, dal carcere romano di Rebibbia veniva tradotto in quello di Oristano e assegnato alla cella numero 8. L’uomo aveva parlato con la psicologa e si trovava in buone condizioni fisiche e psichiche. Si era dimostrato disponibile e collaborante manifestando con fermezza la volontà di uscire definitivamente dal buco nero della droga negando intenti autolesionistici. In poche parole Stefano non aveva intenzione di ammazzarsi tanto da assicurare a compagna e figlia di 7 anni (che risiede vicino il Comune sardo) l’intenzione di ricominciare una nuova vita con tanto di programmi e progetti per il futuro. Il 13 dello stesso mese Dal Corso dovrebbe rientrare a Roma ma alle 14.50 del giorno precedente, invece, l’uomo viene ritrovato senza vita nella cella dell’infermeria dove era ristretto da solo.

Nelle foto allegate al fascicolo l’uomo è vestito di nero e presenta un segno rosso scuro intorno al collo. C’è un pezzo di tessuto bianco vicino al cadavere e un altro pezzo pende dalle sbarre della finestra della cella sotto la quale è posizionato il letto. L’assistente di polizia penitenziaria che per primo rinviene il cadavere dichiarerà di aver visto il detenuto vivo 10 minuti prima del rinvenimento. La sua testimonianza collima con le dichiarazioni del personale sanitario accorso nella cella. Tutti i presenti affermano di aver tentato la rianimazione per circa 40 minuti, che il corpo era caldo e non presentava segni di violenza o da colluttazione, men che meno di iniezione di sostanze chimiche. Sulla scorta di queste risultanze il Pm avrebbe richiesto l’archiviazione al Gip e quest’ultimo scriveva in atti:

Diverse le lesioni incompatibili con un suicidio per impiccagione

”…E’ possibile escludere senza ombra di dubbio che la morte di Dal Corso possa essere stata causata da un terzo”, di fatto escludendo qualsivoglia responsabilità da parte dell’amministrazione penitenziaria relativa alla custodia del detenuto. Nel contempo l’avvocato Armida Decina, per conto della sorella della vittima Marisa Dal Corso, faceva richiesta di autopsia che veniva rigettata: ”Il fascicolo sulla morte di Stefano è vuoto, povero. Le foto sono incomplete – ha detto l’avvocato Decina –  Il corpo è vestito…”.

Le dichiarazioni della penalista sono state espresse nel corso di una conferenza stampa presso la Camera dei deputati a cui hanno partecipato, oltre ai congiunti, il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti e Rita Bernardini, presidente di Nessuno Tocchi Caino. Ed a proposito di esame autoptico ci sarebbero due perizie medico-legali  supporto dell’esecuzione dell’importante, se non essenziale, verifica cadaverica ai fini di stabilire le cause del decesso. La prima perizia, richiesta dal Garante nazionale dei detenuti, è firmata dalla nota anatomopatologa forense Cristina Cattaneo.

Marisa Dal Corso

La seconda, prodotta dalla famiglia, reca la firma di due luminari della medicina legale, i professori Claudio Buccelli e Gelsomina Mansueto. Gli esperti concordano su un fatto: dalle foto non è possibile capire se il solco attorno al collo “sia l’esito dell’impiccamento o di un precedente strangolamento cui è seguita una simulazione di impiccamento”. Come se non bastasse ci sarebbero due testimoni, ritenuti affidabili dalla difesa, fra i quali un detenuto che ha raccontato di un pestaggio a cui sarebbe stato sottoposto Dal Corso che aveva chiesto ad alcuni agenti penitenziari i farmaci per il suo diabete. Un’altra persona avrebbe telefonato alla sorella della vittima dicendole di andare avanti nella tragica vicenda perché Stefano “l’hanno strangolato e poi hanno fatto come se si fosse impiccato”.

Poi c’è il mistero di un libro recapitato a casa della sorella di Stefano nel marzo scorso. Il titolo è inquietante: Fateci uscire da qui!. Nell’indice erano cerchiati i capitoli “La morte” e “La confessione” ma Marisa Dal Corso non è riuscita a fermare il corriere che l’aveva portato nonostante l’avesse chiamato più volte quasi correndogli dietro. Chi era quell’uomo? Il cadavere di Stefano Dal Corso si trova in una cella frigorifera del cimitero romano di Prima Porta. In quel corpo senza vita è nascosta la verità.

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