L’ennesimo femminicidio ha lasciato sgomenta l’intera comunità di Furci Siculo e di Favara, paese d’origine della vittima. Il movente è ancora sconosciuto ma il solito copione si ripete.
Si chiamava Lorena Quaranta, aveva 27 anni ed era una studentessa di medicina che voleva diventare pediatra. L’ultima sua pubblicazione su Facebook, visibile a chi non aveva il contatto con lei, è un autentico sfogo per i tanti medici uccisi dal virus. E’ del 27 marzo alle ore 12.40 e si legge “Inaccettabile”. E’ inaccettabile che tanti medici siano morti a causa della loro missione professionale così come inaccettabile è che Lorena non finirà il suo percorso di studi, che non diventerà pediatra, che non arricchirà la sua bacheca di Facebook con le foto che la ritraggono, bellissima, con i capelli lunghi e gli occhi grandi e luminosi come due stelle.
Quelle immagini straordinarie in camice e mascherina, in compagnia dei colleghi, in ospedale, in vacanza, al mare, con gli amici, con i suoi familiari e mentre accarezza alcuni cagnolini. Quelle foto che la ritraggono con il suo fidanzato. Colui il quale le aveva giurato eterno amore. L’uomo con il quale desiderava raggiungere i maggiori obiettivi della sua vita. L’uomo che l’ha uccisa strangolandola dopo averla ferita a coltellate. Antonio De Pace, 28 anni, lo aveva conosciuto tra le corsie del Policlinico di Messina dove Lorena aveva fatto il tirocinio.
Raggela il sangue dinnanzi all’ennesimo femminicidio. Appena strangolata la sua fidanzata l’uomo avrebbe tentato di suicidarsi in maniera assai maldestra, senza riuscirvi. I due convivevano a Furci Siculo, un paese sul mar Ionio in provincia di Messina. Accanto alla loro residence di via delle Mimose 12 è ubicata la sede del centro antiviolenza. Sembra una beffa del destino. Il presunto assassino, in parte reo confesso, durante l’interrogatorio davanti al Pm Roberto Conte avrebbe dichiarato di avere ucciso Lorena perché gli aveva contagiato il Coronavirus. Una balla. I tamponi di entrambi hanno dato esito negativo.
E allora perché l’ha uccisa? Questa è la domanda che ci poniamo sempre di fronte ad ogni femminicidio. Davvero c’è un perché che possa “giustificare” l’uccisione di una persona? Per di più una persona che giuravi di amare per tutta la vita? No, non c’è un perché. Il tragico copione, però, si ripete
Chi ammazza una donna lo fa per uno stretta percezione della proprietà, un senso malevolo di possesso che l’aguzzino ritiene di esercitare sulla vittima e che si concretizza, nella realtà dei fatti, con l’omicidio. Tu sei mia e io ti ammazzo, ecco l’assunto.
Ti ammazzo senza pietà. Ti ammazzo senza pena. Senza pensare che mi ami. Ti ammazzo senza pensare che fino alla notte prima hai dormito accanto a me. Senza pensare ai tuoi genitori, ai tuoi fratelli. Ti elimino da questo mondo senza pensare che sei una giovane donna che ha trascorso la sua vita sui libri e che sogna di laurearsi. Facendomi fare la stessa cosa e assistendomi amorevolmente negli studi.
Ma Lorena raggiungerà lo stesso il suo traguardo. Il rettore dell’università di Messina, Salvatore Cuzzocrea, le conferirà la laurea alla memoria.
In un momento storico nel quale non si parla d’altro che del virus che ha stravolto le nostre vite, la notizia dell’uccisione di Lorena ha suscitato, specie sui social, i commenti di tantissimi utenti sgomenti ed arrabbiati che augurano al presunto assassino di morire in carcere per mano degli stessi detenuti.
Mi chiedo se gli autori di questi commenti così violenti improntino la loro vita ai sacrosanti principi di non violenza, di parità di genere e di denuncia delle violenze domestiche. Mi chiedo se gli autori di questi commenti siano tra quelli che additano le donne come se fossero farinacei, “gnocca, patata”. Mi chiedo se questi commentatori giustizieri si indignino alla stessa maniera per i post volgarmente maschilisti che riempiono Facebook ed altre piazze virtuali e che ritraggono sedere e seni. Mi chiedo se questi commentatori si incazzino quando qualcuno dice ai loro figli maschi “piangi come una femminuccia” o alle loro figlie femmine “questo è un gioco da maschio”. Mi chiedo, soprattutto, se tra questi commentatori balordi ci siano i tanti vicini di casa delle tante vittime che, come da manuale, raccontano di non avere mai sentito nulla. Mai una lite, nemmeno un battibecco. Eppur la violenza domestica fa tanto rumore. Possibile che nessuno senta mai nulla?
Lorena, che porta lo stesso nome di un’altra Lorena, di Niscemi, vittima di un branco di giovani assassini, non è altro che l’ennesima vittima sacrificale di una violenza insensata ancora oggi non del tutto comprensibile. Spesso anche per gli addetti ai lavori. Se ne parla tanto ma se ne parla male. Ed è per questo che la strage di donne continuerà inesorabile. Virus o no.