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Meloni scarica il pistolero ma assolve Salvini e il bavaglio alla stampa

Pozzolo sospeso e deferito. Sugli appalti Anas “Salvini non deve rispondere in Aula”. Il divieto di pubblicare le ordinanze? “Iniziativa valida”.

Roma – Lo scalpo del pistolero di Capodanno, il deputato di Fratelli d’Italia Emanuele Pozzolo, protagonista della sparatoria con ferimento nel Biellese, non è arrivato integro nemmeno alla Befana. Meloni lo ha esibito nella conferenza stampa di fine anno, il consueto incontro con i giornalisti divenuto di inizio anno causa l’indisposizione della premier, giusto per sgombrare il campo da uno degli argomenti più spinosi, anche se per ascoltare le parole della premier sul tema si è dovuto attendere la quattordicesima domanda.

Per il resto il torrenziale incontro stampa – tre ore di botta e risposta che ad un certo punto ha obbligato la leader di FdI ad una precipitosa fuga in bagno – non ha riservato particolari colpi di scena. Meloni ha riproposto il solito schema catenacciaro, difesa a riccio senza precludersi di tanto in tanto un velenoso contropiede per infilzare il Pd e Conte, alternato a palle sparacchiate in tribuna quando c’è da scaricare le responsabilità sui governi precedenti.

Sulla cosiddetta legge bavaglio alla stampa, quella che impedisce la pubblicazione delle ordinanze dei magistrati fino all’udienza preliminare, argomento introdotto dal presidente dell’Ordine dei giornalisti che ha ricordato le poltrone lasciate vuote per protesta dai vertici della Federazione nazionale della stampa, la premier ha ricordato che l’iniziativa legislativa è arrivata dalle opposizioni (Enrico Costa di Azione) e che il governo si è limitato ad appoggiarla ritenendola “un’iniziativa valida, forse non l’avrei presa, io non l’ho fatto, ma mi pare una norma di equilibrio tra il diritto di informare ed il diritto alla difesa del cittadino”. Parole che non sembrano aprire ad un’eventuale correzione della norma sull’onda delle proteste della categoria.

Sulla vicenda Pozzolo, Meloni invece ha attaccato e il “cazziatone” della premier si è allargato all’intera classe dirigente del suo partito, evidentemente ritenuta non immune da pericolose cadute di stile. “Ho chiesto che Pozzolo venga deferito alla commissione dei probiviri di Fdi indipendentemente dal lavoro che fa l’autorità competente e che nelle more del giudizio sia sospeso da Fdi” – ha spiegato l’inquilina di Palazzo Chigi, che poi ha rincarato la dose: “Sulla classe dirigente del mio partito – ha aggiunto – c’è sempre qualcuno che non ti aspettavi che fa errori o cose sbagliate. Però non sono disposta a fare questa vita se persone intorno a me non sentono la responsabilità. Non sempre accade ma per la responsabilità che abbiamo, e io vivo quella responsabilità, su questo intendo essere rigida”.

Emanuele Pozzolo sospeso da Fdi e deferito ai probiviri del partito

E a proposito di Fdi e delle accuse di familismo che le sono piovute in capo in merito al protagonismo della sorella Arianna, Meloni ha sbottato: “Mia sorella è da 30 anni militante di Fdi, forse la dovevo mettere in una partecipata statale come fanno gli altri, l’ho messa a lavorare al partito mio”. Stesso spartito per chi parla di “Telemeloni” e dell’occupazione manu militari della Rai: ““Francamente sono accuse che, arrivando da una sinistra che in passato con il 18% dei consensi esprimeva il 70% di posizioni in Rai, non accetto, noi facciamo un lavoro di riequilibrio”. E a proposito di mamma Rai ne è uscito bene Roberto Sergio, amministratore delegato di viale Mazzini, la cui gestione Meloni ha sostanzialmente promosso: “Sono soddisfatta del percorso per ridurre il pesante indebitamento. Ho letto poi le critiche per gli ascolti, ma la Rai fa servizio pubblico, e non va misurata solo sugli ascolti”.

La premier è tornata invece a chiudersi prudentemente in difesa quando c’è stato da affrontare l’affaire Verdini, l’indagine su Tommaso Verdini, figlio di Denis e fratello di Francesca, la compagna di Matteo Salvini. “Penso che sulla questione bisogna attendere il lavoro della magistratura – ha spiegato la premier -, gli sviluppi, se necessario commentare quelli e non i teoremi. Da quello che ho letto le intercettazioni fanno riferimento al precedente governoSalvini non è chiamato in causa e ritengo che non debba intervenire in Aula su questa materia”. Blindato, quindi, il suo vice, il leadar della Lega e ministro delle Infrastrutture.

Il 2024 potrebbe essere l’anno buono per affrontare la riforma della Giustizia

Infine sul campo più squisitamente politico, Meloni ha annunciato con le dovute cautele che il 2024 dovrebbe essere l’anno in cui affrontare la questione Giustizia: “Non è facile, in questa nazione, quando si cerca di mettere mano ad alcuni ambiti, le opposizioni si fanno sentire, Ma se non hai il coraggio di provarci un governo che ha la maggioranza che abbiamo…” E a proposito di riforme la premier si è spesa anche in una difesa, parsa piuttosto blanda, del premierato, assicurando però che “questo non è un referendum sul governo o su Giorgia Meloni, ma su cosa deve accadere dopo”. Insomma, va bene metterci la faccia ma non fino al punto di fare la fine di Renzi e perdere Palazzo Chigi.

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