A luglio saranno trascorsi ventisette anni dal terribile massacro avvenuto nella città serba. Dal 2012 una galleria d’arte di Sarajevo tramanda la memoria dell’eccidio alle generazioni contemporanee nella speranza che l’insensatezza del male non si ripeta.
Sarajevo – Troneggia sul muro della piazza principale della città vecchia di Sarajevo capitale della Bosnia, il manifesto di una giovane donna. Attraversato e sfregiato da frasi orripilanti. L’intento della Galerija 11/07/95 è quello di scioccare il passante per indurlo a informarsi su quanto accaduto a Srebrenica quell’anno. Una delle tante drammatiche storie che accompagnano questi territori, una volta conosciuti con il nome di Yugoslavia.
Srebrenica è stato il teatro del massacro di circa 8000 persone, principalmente uomini e giovani bosniaci di religione musulmana. La zona era sotto la tutela Onu ed era protetta dal contingente olandese di tre truppe “Dutchbat”.
Quello che si è configurato come un genocidio, avvenuto presumibilmente quando calava la notte, con lo sgozzamento delle vittime, mirava a eliminare il gruppo etnico dei bosgnacchi. Quanto accaduto a Srebrenica è stato un punto di svolta per i successivi sviluppi del conflitto. Responsabili del massacro sono stati il generale Ratklo Mladic, serbo-bosniaco, e Radovan Karadzic, presidente della Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina.
La mostra è focalizzata non tanto sulla storia in senso stretto di Srebrenica, ormai conosciuta, quanto sull’infinito dolore genetico posteriore all’eccidio.
La foto della goccia di sangue sul dito racconta la ricerca del Dna degli amabili resti, sparsi in un area di 30 chilometri. La mano guantata di chi scava, che stringe quasi in un saluto la mano preservata dell’ennesimo cadavere, traccia un continuum tra quei giorni e il nostro oggi che ancora cerca di dare un senso a quel tremendo conflitto.
L’allineamento di infiniti cumuli di resti umani in attesa di essere ricomposti e riconosciuti da parenti e amici, raccontano il male non nella sua banalità ma nella sua forza insensata. Intere famiglie sono state annientate a Srebrenica. Per molti di quei morti non c’è nessuno che li cerchi o pianga per la loro scomparsa.
Siamo noi, che giriamo attoniti e muti tra quelle sale silenziose, gli unici testimoni rimasti delle loro vite spazzate via.