La scomparsa di Marina Arduini: l’ultima telefonata poi 18 anni di silenzi

La 39enne commercialista di Frosinone doveva andare in Questura a denunciare un furto e una truffa. Non ci è mai arrivata e da quel lunedì 19 febbraio 2007 è svanita nel nulla. La pista dei soldi, le inchieste e le archiviazioni.

Frosinone – Sono passati oltre diciotto anni da quel 19 febbraio 2007, quando Marina Arduini, commercialista 39enne di Frosinone, uscì di casa per non farvi più ritorno. Una vicenda che, nonostante anni di indagini, segnalazioni e riaperture del caso, rimane avvolta in un fitto mistero. Nessun corpo, nessuna confessione, solo ipotesi e interrogativi che continuano a tormentare la famiglia e a sfidare gli investigatori. Cosa è accaduto a Marina? E perché, dopo quasi due decenni, la verità sembra ancora così sfuggente?

Lavoro e famiglia, una vita normale

Occhi castani e capelli biondi, alta 1 metro e 65, Marina Arduini viveva con i genitori in una casa di campagna alla periferia di Frosinone. Single, dedita al lavoro e alla famiglia, era una donna riservata con una vita apparentemente normale. Quel lunedì mattina, dopo aver cenato la sera precedente con i genitori e aver aiutato il nipotino con i compiti, uscì di casa intorno alle 9. Alle 9.15 inviò un messaggio alla segretaria del suo studio, la Multiservice, avvisando che sarebbe arrivata con mezz’ora di ritardo. Poco dopo, contattò la donna delle pulizie per annullare l’appuntamento delle 13. Alle 10.50 rispose a una telefonata, poi il silenzio

Marina doveva recarsi in Questura per denunciare un episodio inquietante: cinque giorni prima, il 14 febbraio, ignoti si erano introdotti nel suo ufficio in via Vado del Tufo, mettendo a soqquadro documenti e scrivanie senza rubare nulla di valore, tranne 60 euro. Inoltre, qualcuno aveva acceso a suo nome un finanziamento da 13mila euro per l’acquisto di sanitari, una truffa di cui era appena venuta a conoscenza.

Il cellulare a Salerno, la macchina a Roma

Ma in Questura la commercialista non arrivò mai. Il suo cellulare, agganciato a una cella di Frosinone in mattinata, risultò attivo nel pomeriggio a Formia e poi a Salerno, a circa 200 chilometri da casa, alle 17. Da quel momento, silenzio. La sua Fiat Punto bianca, targata AA804ZD, fu ritrovata solo due anni dopo, nel 2009, abbandonata a Roma in piazza Aruleno Celio Sabino, vicino alla fermata della metro Anagnina. Nessuna traccia della donna, del suo portatile o di un hard disk che portava sempre con sé.

Le indagini, condotte dai carabinieri di Frosinone e coordinate dalla Procura, partirono subito dopo la denuncia dei familiari, convinti che Marina non si fosse allontanata volontariamente. Marina considerava la sua auto inaffidabile per lunghi viaggi e detestava i treni, rendendo improbabile un trasferimento spontaneo a Salerno. L’ipotesi di un depistaggio è forte: il cellulare potrebbe essere stato portato verso sud da qualcun altro, e l’auto spostata a Roma in un secondo momento.

Aggiustamenti contabili e società fantasma

La pista iniziale fu quella di un possibile legame con il suo lavoro. La Multiservice, di cui era socia al 50%, gestiva la contabilità di diverse aziende, alcune delle quali finite sotto la lente della Guardia di Finanza per presunte irregolarità. Tra queste, una cooperativa di Cervaro, in provincia di Frosinone, coinvolta anni dopo in un’inchiesta su fondi destinati a profughi e minori disagiati.

Un altro filone investigativo si concentrò sulla vita privata di Marina. La relazione con un imprenditore di Alatri, divenne presto un punto focale. L’uomo, che aveva precedenti minori, fu indagato per sequestro di persona e omicidio. Secondo alcune ipotesi, Marina potrebbe essere stata coinvolta in un giro di “aggiustamenti” contabili per società fantasma, un’attività che avrebbe voluto denunciare quel giorno. L’imprenditore, però, fornì un alibi – una visita dal carrozziere – e, nonostante i sospetti, la sua posizione fu archiviata nel 2018 per mancanza di prove. Altri due individui furono indagati per favoreggiamento, ma anche in quel caso le accuse caddero.

Le minacce e un segreto nascosto in un hard disk

Il caso di Marina Arduini è costellato di enigmi. Perché il suo cellulare risultò a Salerno, una città con cui non aveva legami noti? Chi portò la sua auto a Roma, e quando? E soprattutto, che fine ha fatto l’hard disk che custodiva gelosamente, forse contenente dati sensibili sui suoi clienti? Dopo la sua scomparsa, un rappresentante della Multiservice si recò dai genitori per chiedere se Marina conservasse documenti a casa, ma nulla fu trovato. Nel 2012, dopo un’apparizione della famiglia a Chi l’ha visto?, ignoti entrarono nella loro abitazione, lasciando in vista foto di Marina e minacciandoli telefonicamente con un “Vi ammazziamo tutti”. Un gesto intimidatorio che rafforzò l’idea di un segreto pericoloso legato al suo lavoro.

L’ultima flebile speranza nel 2022

Nel 2017, il gip Ida Logoluso respinse una richiesta di archiviazione, disponendo 90 giorni di indagini suppletive chieste dai legali della famiglia. Furono riesaminati cadaveri non identificati, ma i test esclusero che appartenessero a Marina. L’ultima archiviazione arrivò nel 2018, lasciando i familiari con un’amara rassegnazione. Eppure, nel 2022, una nuova pista – avvolta nel riserbo – portò alla riapertura del caso. L’ex amante fu ricontattato dagli inquirenti, anche se il suo avvocato, Giampiero Vellucci, ha ribadito la sua estraneità e disponibilità a collaborare. Nessun dettaglio è trapelato sui nuovi elementi, ma l’ipotesi di un delitto legato a questioni economiche resta in piedi.

Un’altra teoria, avanzata dalla sensitiva Rosemary Laboragine, suggerisce che Marina sia stata strangolata e sepolta in una zona di campagna vicino a una ferrovia in provincia di Salerno. Laboragine, nota per aver collaborato con alcune procure, ritiene che Marina sia caduta in una trappola per aver cercato di chiarire un affare da migliaia di euro. Sebbene priva di conferme ufficiali, questa ipotesi coincide con l’ultima cella telefonica agganciata dal cellulare di Marina.

Una famiglia segnata dal dolore e dalla lotta per la verità

La famiglia Arduini non ha mai smesso di cercare giustizia. Il nipote Manuel Pica, appena 17enne nel 2007, ha creato un gruppo Facebook, “Giustizia per Marina Arduini”, per tenere viva la memoria della zia. “Marina è stata uccisa per soldi”, ha dichiarato, sottolineando che la commercialista potrebbe aver scoperto qualcosa di pericoloso. La famiglia ha criticato le indagini, definite “approssimative”: mancano i video dei caselli autostradali e della stazione Termini, e i tabulati telefonici completi non sono mai stati acquisiti. Il dolore si è aggravato con la morte del fratello di Marina, Cristian, stroncato da un ictus nel 2019, e della madre, che spirò invocando il nome della figlia. La riapertura delle indagini nel 2022 offrì una flebile speranza, ma l’assenza del corpo e la scarsità di prove concrete rendono difficile una soluzione. La verità su Marina potrebbe essere nascosta in quel hard disk scomparso, simbolo di un segreto troppo grande per essere rivelato.

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