Mamma voleva avvelenarci, per questo l’abbiamo ammazzata

Fine pena mai per il trio criminale responsabile della morte di Laura Ziliani, l’ex vigilessa di Temù soffocata e poi gettata nel fogliame del bosco.

BRESCIA – Mamma avrebbe tentato di ucciderci prima mettendo candeggina nel latte e poi con sostanze caustiche nel sale. Ma abbiamo fatto sparire le prove per evitare che risalissero a noi tre. Per questo l’abbiamo ammazzata…”. Cosi avrebbero riferito in aula Paola Zani, Silvia Zani e Mirto Milani, condannati al fine pena mai per aver strangolato Laura Ziliani, 55 anni, dipendente comunale, deceduta l’8 maggio 2021 nei paraggi di Temù, in Val Camonica.

Questa sorta di estremo tentativo di evitare l’ergastolo non è servito allo scopo e, anzi, ha peggiorato una già gravissima situazione giudiziaria che ha portato la Corte d’Assise di Brescia ad emettere un verdetto per certi versi scontato. La vittima era stata prima stordita con benzodiazepine e poi soffocata mentre il cadavere veniva sepolto, alla meno peggio e forse con l’intenzione di farlo ritrovare, in una zona boschiva vicino alle sponde del fiume Oglio.

Le sorelle Zani a processo

I tre sodali confessavano l’omicidio in carcere diversi mesi dopo l’arresto avvenuto il 24 settembre 2021. Il movente, ormai assodato, erano i soldi di Laura e le sue iniziative turistiche che il terzetto criminale avrebbe voluto gestire in prima persona attese le frizioni che le due sorelle e Mirto Milani avevano con la stessa Ziliani. Da qui risentimento e tanta rabbia, oltre che una buona dose di cattiveria criminale e di ossessione per il denaro, avrebbero avuto la meglio.

Dunque un omicidio studiato a tavolino che, però, si consuma all’insegna dell’approssimazione e di decine di errori che gli inquirenti scopriranno in breve tempo:

Dopo che mia madre aveva mangiato i muffin che le avevamo preparato con dentro benzodiazepine, iniziammo a cercare di capire come proseguire nel nostro progetto – racconta in aula Silvia Zani –  Io ero convinta di quello che volevo fare. Ero decisa. Sono entrata nella camera da letto di mia madre, ricordo di averle messo le mani attorno al collo, Paola la teneva ferma con il suo peso. Mia madre ha iniziato a rantolare, a quel punto Mirto si è accorto che non stava andando tutto come previsto ed è entrato in camera. Ha messo anche lui le mani sul collo di mia mamma. In un certo senso mi ha dato il cambio…”.

I giudici in camera di consiglio prima della sentenza

Mirto Milani ha proseguito invece su una tesi difensiva rivelatasi un fallimento su tutta la linea: ”Il nostro incubo era quello di essere avvelenati da Laura – ha detto il musicista dal banco degli imputati – Perché non abbiamo denunciato? Dal nostro punto di vista se i carabinieri avessero scoperto che Laura voleva farci del male, poi sarebbero per deduzione risaliti a noi, avendo la prova della nostra colpa“.

Milani, secondo il difensore avvocato Simona Prestipino, non era affatto il maneggione del terzetto come era stato ipotizzato:

L’intero dibattimento ci ha mostrato che il soggetto meno convinto del piano omicidiario e che ha sempre tentato di tirarsi indietro è Mirto Milani – ha aggiunto la penalista – che invece all’inizio era indicato come il manipolatore del gruppo”.

Gli avvocati Simona Prestipino e Maria Pia Longaretti. Foto LaPresse

Tutti e tre gli avvocati difensori hanno fatto di tutto pur di evitare il massimo della pena ai loro assistiti: “Mirto cavalca le problematiche che ci sono tra figlie e mamma e sviluppa l’idea di eliminare il nemico – ha continuato Michele Cesari, difensore di Paola Zani, 21 anni, la più piccola del gruppo – Non sappiamo da chi sia nata l’idea di uccidere Laura, ma un elemento sicuro c’è: l’idea non è partita da Paola”.

Anche l’avvocato Maria Pia Longaretti, patrocinatore di Silvia Zani, ha tentato strenuamente di evitare il peggio, senza tuttavia riuscirci:” Mi chiedo se Silvia, che ragiona come una adolescente – ha chiosato la penalista – e che è fredda perché non ha mai avuto affetto, fosse totalmente capace di intendere e volere quando quella sera di maggio si è trovata nella camera dove ha ucciso la madre”.

La Pm Caty Bressanelli

Tutte le richieste delle difese sono state rigettate dalla Corte d’Assise di Brescia, presieduta da Roberto Spanò, che ha condannato all’ergastolo i tre imputati con isolamento diurno di sei mesi cosi come richiesto dalla Pm Caty Bressanelli. La sentenza prevede una provvisionale immediatamente esecutiva di 200mila euro nei confronti della sorella disabile delle imputate, rimasta orfana di entrambi i genitori. Disposto anche un risarcimento di 100mila euro nei confronti dell’anziana madre dell’ex vigilessa e nonna delle imputate e 50mila per ognuno dei due fratelli della vittima.

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