Le sementi sono diventate proprietà privata

E chi specula, ovvero le multinazionali dell’agrochimica, diventano sempre più ricche mentre i contadini arrancano come sempre. Ma i semi non erano un bene pubblico?

I semi al centro della contesa. L’agricoltura mondiale, secondo i dati, è in continua crescita di raccolti, grazie all’innovazione tecnologica. Ma dietro l’aumento quantitativo si celano problematiche molto serie: cambiamenti climatici con eventi estremi portatori di danni economici e sociali, sfruttamento dei terreni produttivi che causano degrado e desertificazione, calo della forza lavoro rurale e necessità di aumentare la sostenibilità per sfamare una popolazione in crescita (9,7 miliardi entro il 2050).

In questo mare tempestoso sguazzano a loro piacimento le multinazionali del settore, usando i brevetti degli Organismi Geneticamente Modificati (OGM) per privatizzare i semi che dovrebbero rimanere un bene collettivo. I contadini avrebbero il sacrosanto diritto di conservare, scambiare e diffondere semi locali, svincolati da brevetti e dal circolo dannoso della chimica industriale. Ma schierarsi contro le multinazionali è come mettersi contro la Chiesa. Nel senso che hanno un potere così forte da rendere la sfida quasi impossibile da vincere, portando inevitabilmente alla sconfitta.

Eppure sono millenni che l’agricoltura si basa sull’uso, selezione e scambio di semi. Un processo in continua trasformazione definito da prove continue, riutilizzo e scambi di semi coi vicini. Ma la voracità delle multinazionali agroalimentari non ha che un fine: brevettare i semi. Ad esempio negli anni ’90 del secolo scorso, Monsantoun’ex multinazionale agrochimica americana, nota per sementi OGM e prodotti chimici come il glifosato (erbicida classificato come probabile cancerogeno), acquisita da Bayer nel 2018, cancellando il marchio ma mantenendo i prodotti controversi – utilizzando il brevetto dei semi obbligava i contadini a ricomprarli ogni anno, mentre prima la durata era maggiore.

Quando i semi venivano acquistati, il povero agricoltore di turno era obbligato a firmare un contratto che vietava il suo riutilizzo successivamente. Ma qualsiasi seme può essere trasportato dal vento o da un impollinatore, quindi non se ne conosce la provenienza, ma il suo utilizzo può provocare un contenzioso legale. La digitalizzazione ha intensificato il processo e attraverso banche dati si brevettano semi senza nemmeno sporcarsi le mani, come si faceva un tempo recandosi in loco per prelevare materiale genetico.

I contadini rimangono l’ultima ruota del carro…

Con gli OGM brevettati il seme da “bene pubblico” a disposizione di che ne ha bisogno, si è trasformato in “proprietà privata”. Una sorta di colonialismo agricolo a cui sono sottoposti milioni di contadini. Affrontare le criticità in laboratorio è fuorviante, perché in vitro” le condizioni esterne presenti in natura non possono essere create. La natura controlla il sistema e la biodiversità è sinonimo di resilienza. Anche perché ogni terreno è unico e irripetibile, basta spostarsi un po’ ed emerge una situazione completamente diversa.

La biodiversità non può essere riprodotta in laboratorio, in quanto gli ecosistemi hanno un equilibrio fragilissimo. Le multinazionali puntano sul seme brevettato perché ricavano profitti nel breve periodo. Ma il costo da pagare, soprattutto per il Sud del mondo, è salatissimo. Il rischio, già in atto, è di perdere una numerosa e varia informazione genetica locale, che indebolisce la biodiversità e seppellisce secoli di cultura e sapere.

Ci si dovrebbe chiedere se il materiale genetico e, con esso, i semi, debba appartenere ad una società privata, quando Madre Natura decise, a suo tempo, che apparteneva all’umanità.