Dalle manomissioni degli anni Settanta alle truffe digitali, il controllo di acqua e luce resta una delle armi più efficaci delle mafie per dominare i territori.
Quando parliamo di mafia e servizi essenziali, non ci troviamo di fronte a un’emergenza recente, ma a un fenomeno radicato che attraversa generazioni. Il controllo delle forniture di acqua, luce e gas rappresenta da sempre uno degli strumenti più efficaci per le organizzazioni criminali di esercitare il proprio dominio sui territori, trasformando bisogni primari in leve di potere.
La logica è tanto semplice quanto spietata: chi controlla l’accesso ai servizi essenziali controlla la vita quotidiana delle persone. E dove lo Stato fatica ad arrivare, o arriva in ritardo, la criminalità si presenta come un’alternativa, distorta e violenta, ma paradossalmente “funzionale” agli occhi di chi si trova senza alternative.
Negli anni Settanta e Ottanta, il fenomeno si manifestava principalmente attraverso allacci abusivi e manomissioni degli impianti. Le famiglie mafiose controllavano fisicamente le reti idriche ed elettriche in interi quartieri, imponendo tariffe parallele e creando sistemi di distribuzione alternativi a quelli legali. In Sicilia come in Campania, questi meccanismi si intrecciavano con la gestione delle case popolari e l’edilizia abusiva, creando veri e propri feudi urbani dove la presenza dello Stato era ridotta al minimo.
Con il passare dei decenni, il modello si è affinato. Non più solo manomissioni artigianali, ma vere e proprie strutture organizzate, con contabilità precise, referenti per ogni area, sistemi di riscossione capillari. Il “pizzo delle utenze” è diventato una voce fissa nei bilanci delle cosche, calcolabile, prevedibile, redditizio.
L’ultima frontiera è quella che stiamo osservando oggi: la digitalizzazione del crimine. Le organizzazioni più evolute hanno capito che il futuro non sta solo nel controllo fisico del territorio ma nella capacità di infiltrarsi nei sistemi informatici, sfruttando le vulnerabilità tecnologiche per moltiplicare i profitti e ridurre i rischi. Una truffa telematica su milioni di bollette genera ricavi enormi con un’esposizione personale minima rispetto alle vecchie estorsioni porta a porta.
C’è un aspetto inquietante in questa dinamica: in alcuni contesti, le famiglie residenti percepiscono inizialmente il sistema criminale come una soluzione. Dieci euro al mese per acqua e luce sembrano un affare, soprattutto quando l’alternativa è il buio totale o l’impossibilità di pagare le tariffe regolari. La mafia si presenta come “risolutrice” di problemi che lo Stato non riesce a gestire.
Ma questa è un’illusione che dura poco. Dietro la tariffa apparentemente conveniente si nasconde un meccanismo di controllo totale: chi non paga viene isolato, minacciato, escluso. Non esistono diritti, solo concessioni revocabili. E il denaro raccolto non finanzia certo il miglioramento delle infrastrutture, ma alimenta le casse delle organizzazioni criminali, perpetuando violenza e illegalità.
La persistenza di questo fenomeno rivela fragilità strutturali profonde. Nei quartieri in cui la criminalità gestisce le utenze, spesso mancano alternative concrete. Le famiglie vivono in abitazioni occupate abusivamente, senza contratti regolari, ai margini di qualsiasi sistema di welfare. Denunciare significa rischiare di perdere tutto: la casa, le forniture, talvolta la sicurezza personale.
Inoltre, questi sistemi prosperano dove esiste un vuoto istituzionale. Quartieri dimenticati, dove gli investimenti pubblici scarseggiano, i servizi sociali sono insufficienti, le opportunità di lavoro legale ancora meno. In questo contesto, la criminalità organizzata non si limita a sfruttare le persone, ma costruisce un’economia parallela che coinvolge centinaia di famiglie, creando una dipendenza difficile da spezzare.
Contrastare efficacemente questo fenomeno richiede un approccio integrato che vada oltre le operazioni di polizia, per quanto necessarie. Servono investimenti massicci nelle infrastrutture dei quartieri più degradati, programmi di regolarizzazione abitativa, sostegno economico alle famiglie in difficoltà, presenza costante delle istituzioni.
È fondamentale offrire alternative reali: tariffe agevolate per chi vive in condizioni di povertà, procedure semplificate per l’accesso ai servizi, accompagnamento sociale per chi vuole uscire dal circuito criminale. Senza questo, ogni arresto rischia di essere solo temporaneo, con nuovi referenti pronti a sostituire quelli catturati.
La tecnologia, che oggi viene sfruttata dalle organizzazioni criminali, deve diventare anche uno strumento di contrasto: sistemi di controllo più sofisticati sulle anomalie nelle fatturazioni, blockchain per tracciare i flussi finanziari, intelligenza artificiale per individuare schemi fraudolenti.
Che si tratti delle strade di Palermo o dei quartieri di Napoli, il meccanismo è sempre lo stesso: la criminalità si insinua come l’acqua in quelle piccole insenature che lo Stato non tutela, trasformando diritti fondamentali in merce di scambio. Spezzare questo circolo vizioso non è solo una questione di ordine pubblico, ma una priorità sociale che chiama in causa la capacità dello Stato di essere presente, efficace, vicino alle persone.
Finché interi quartieri resteranno ai margini, la mafia continuerà ad apparire, agli occhi di molti, come l’unica soluzione possibile. E il costo di questa rinuncia non si misura solo in euro sottratti alle casse pubbliche, ma in dignità negata, in futuro rubato, in speranza tradita.