Antonello Lovato, 38 anni, dovrà rispondere di omicidio colposo e omissione di soccorso. Satnam Singh non aveva un contratto, era clandestino e veniva pagato (come molti altri) 4 euro all’ora. Bufera sulle parole del titolare dell’azienda. La piaga del caporalato.
Latina – La piaga del caporalato nel suo volto più tremendo, degno di un film dell’orrore. E’ indagato per omicidio colposo, omissione di soccorso e violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro Antonello Lovato, il “datore di lavoro “boss” di Satnam Singh, il bracciante indiano di 31 anni morto ieri a seguito dell’amputazione del braccio mentre era all’opera nelle campagne di Latina. Secondo gli inquirenti l’imprenditore di Borgo Santa Maria, 38 anni, era al volante del pulmino che ha scaricato Singh, per tutti “Navi”, gravemente ferito e agonizzante, insieme alla moglie davanti alla loro abitazione, non lontano dal campo dover era avvenuto il terribile incidente. Con loro anche il braccio amputato, raccolto e inserito in una cassetta di plastica della frutta e poi lasciato lì vicino al corpo.
Il racconto che la donna ha fornito ai carabinieri è a dir poco agghiacciante: su quel pullmino c’era sangue ovunque, lei piangeva e urlava, ha chiesto e supplicato più volte che il marito fosse portato in ospedale. Invece Navi è stato riportato davanti a casa, a diversi chilometri di distanza dall’azienda, e lì scaricato a terra senza alcun aiuto né soccorso. Al momento dell’incidente nessuno degli altri braccianti dell’azienda agricola Lovato, in via del Passo a Borgo Santa Maria (Latina), si è azzardato a chiamare il 118: troppa la paura di perdere il lavoro o forse, come sembra da alcune allucinanti testimonianze, perché i telefoni erano stati sequestrati per impedire di denunciare l’accaduto. “Il padrone ha preso i nostri telefoni per evitare che si venisse a sapere delle condizioni in cui lavoriamo. Poi ci ha messo sul furgone togliendoci la possibilità anche di chiamare i soccorsi”, avrebbe detto uno dei braccianti a Repubblica. Particolari che aggiungono orrore all’orrore.
Solo quando il furgone di Lovato si è allontanato, confidando nel reciproco silenzio, uno dei lavoratori ha chiamato i soccorsi. Ma tra il momento dell’incidente e quello della chiamata erano già passate due ore. Troppo tardi. Dopo una corsa disperata, Singh è arrivato al San Camillo di Roma con l’elisoccorso in condizioni disperate. E’ stato operato più volte, ha lottato per 48 ore contro la morte ma alla fine non ce l’ha fatta. Troppo gravi le ferite: oltre al braccio amputato e la conseguente emorragia, il macchinario avvolgi-plastica a rullo, trainato da un trattore, gli aveva schiacciato anche le gambe. Spetterà ora all’autopsia stabilire se Navi si sarebbe potuto salvare qualora fosse stato trasportato immediatamente al pronto soccorso. Intanto il macchinario è stato sequestrato e Alessandro Lovato, figlio del titolare dell’azienda agricola, indagato per omicidio colposo, omissione di soccorso e violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro.
La vicenda di Navi ha portato alla luce una piaga, quella del caporalato nei campi, che tutti conoscono ma di cui nessuno parla. Una storia fatta di persone sfruttate, il più delle volte clandestini, pagate pochissimo e senza diritti né assistenza. Persone che quando si infortunano o muoiono diventano un “peso” di cui sbarazzarsi in silenzio e in fretta. Navi era arrivato in Italia nel 2022 ed era un clandestino. Faceva parte della comunità sikh, molto numerosa nell’agro pontino proprio perché molti di loro trovano impiego nei campi, lavorano tanto, testa bassa e maniche rimboccate, tanta dignità ma poche domande.
Il 31enne insieme alla moglie era impiegato nella raccolta di frutta e ortaggi: non era contrattualizzato, lavorava a giornata per una paga miserrima di 4 euro l’ora, quindi era sfruttato. Nessun diritto, nessun documento, solo doveri sudore e silenzio. Lunedì mattina, come ogni giorno, era stato prelevato con la moglie davanti casa sua, all’alba, per essere portato nei campi come tanti altri. A raccoglierlo era stato lo stesso pullmino da 9 posti che poi l’ha scaricato a terra come un sacco di rifiuti.
Il macchinario che Navi stava azionando lunedì era un avvolgi-plastica per la copertura dei campi in vista della semina di angurie e meloni. Era agganciato a un trattore. Singh lo stava manovrando quando all’improvviso qualcosa gli ha agganciato il braccio tranciandoglielo, poi la macchina ha proseguito la sua corsa come impazzita, schiacciandogli anche le gambe. Una scena atroce, da incubo, che nessuno avrebbe mai voluto raccontare.
Le indagini dei carabinieri della compagnia di Latina, coordinate dalla Procura, puntano ora a chiarire se lunedì mattina Alessandro Lovato fosse da solo nell’azienda di proprietà del padre Renzo, oppure se nel terreno o sul pulmino ci fossero altri lavoratori, anche loro in nero, fuggiti via come fulmini subito dopo l’incidente. Sotto esame degli inquirenti anche il comportamento tenuto dall’imprenditore. «Sono stato preso dall’agitazione — avrebbe raccontato il 38enne, secondo quanto riporta il Messaggero —, ma poi ho chiamato i soccorsi». A stabilire se ciò corrisponda al vero sarà il vaglio delle telefonate giunte al 112, che servirà anche a ricostruire i tempi dei soccorsi a Singh, trasferito in eliambulanza a Roma dal 118.
Ai carabinieri Alessandro Lovato avrebbe detto di aver abbandonato Navi agonizzante e senza un braccio per paura di avere guai a causa del fatto che lo aveva assunto in maniera irregolare, in nero e senza permesso di soggiorno. Una “scusa” sconcertante. Così come sconcertanti appaiono le parole del padre dell’imprenditore e titolare dell’azienda, Renzo Lovato, il quale intervistato dal Tg1 ha detto: «Avevo avvisato il lavoratore di non avvicinarsi al mezzo, ma ha fatto di testa sua. Una leggerezza costata cara a tutti». In primis al povero bracciante, sul quale queste parole paiono voler gettare ogni responsabilità, addirittura facendogliene una colpa. Inevitabili le polemiche sui social e la bufera mediatica.
A chiarire i contorni della tremenda vicenda e a stabilire eventuali responsabilità saranno ora i magistrati. La Regione Lazio ha annunciato che si farà carico delle spese del funerale del povero Navi e poi – ad affermarlo è il governatore Francesco Rocca – si costituirà parte civile – come anche il Comune di Latina – nel processo a carico dei responsabili, una volta individuati. E lo stesso farà il sindaco di Cisterna di Latina, paese dove Navi risiedeva: il primo cittadino Valentino Mantini ha anche già proclamato il lutto cittadino.
Intanto Gurmukh Singh, presidente della Comunità indiana del Lazio, annuncia una manifestazione per protestare contro questo sfruttamento e questa barbarie. “Per Satnam, martedì 25 giugno – spiega – organizzeremo una grande manifestazione in cui, alla conclusione, chiederemo di essere accolti dal prefetto di Latina a cui lasceremo una lettera aperta per denunciare tutto quello che succede ogni giorno. Invitiamo tutte le comunità indiane del Lazio a partecipare a questa manifestazione e invitiamo anche tutti i sindacati e tutte le associazioni che si occupano dei diritti dei lavoratori a proclamare per quel giorno una giornata di sciopero generale per i lavoratori agricoli della provincia di Latina così da far sentire forte la loro voce e far sì che tragedie come quella di Satnam non accadano mai più”.
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