L’agenda rossa di Borsellino riaccende il mistero a 33 anni dalla strage

Nuove perquisizioni e i sospetti sulla loggia massonica di Nicosia. Oggi la commemorazione in via D’Amelio.

Palermo – A 33 anni dalla strage di via D’Amelio, l’agenda rossa di Paolo Borsellino continua a essere al centro di un mistero che sembra non avere fine. Mentre oggi, 19 luglio, Palermo si ritrova in via D’Amelio per commemorare l’attentato che spezzò la vita del magistrato e dei cinque agenti della sua scorta, le recenti perquisizioni disposte dalla Procura di Caltanissetta guidata da Salvatore De Luca hanno riportato alla luce documenti che potrebbero riscrivere la storia di quei giorni drammatici del luglio 1992.

Strage di via D’Amelio

Il punto di partenza di questa nuova fase investigativa è un appunto datato 20 luglio 1992, il giorno successivo alla strage. Un documento che ha dormito per decenni negli archivi della squadra mobile di Palermo, sfuggendo alle indagini ufficiali e rimanendo nascosto fino alla sua recente scoperta. L’appunto, firmato da Arnaldo La Barbera, ex capo della squadra mobile di Palermo e figura chiave nelle prime ore successive all’attentato, contiene un’annotazione apparentemente semplice ma di enorme portata investigativa: “In data odierna, alle 12, viene consegnato al dottore Tinebra, uno scatolo in cartone contenente una borsa in pelle e un’agenda appartenenti al giudice Borsellino”.

l'ex procuratore Giovanni Tinebra
L’ex procuratore Giovanni Tinebra

La scoperta di questo documento assume un significato particolare se si considera che per decenni la questione dell’agenda rossa di Borsellino è stata uno dei nodi irrisolti dell’inchiesta. Un’agenda che, secondo numerose testimonianze, il magistrato portava sempre con sé e che conteneva annotazioni, contatti e informazioni considerate così sensibili da rappresentare un potenziale pericolo per chi le possedeva. L’agenda che avrebbe dovuto essere recuperata sulla scena del crimine non è mai stata ufficialmente trovata, alimentando teorie su una sua deliberata sottrazione per nascondere verità scomode.

L’appunto di La Barbera getta una luce inquietante su quelle ore concitate del 20 luglio 1992, quando gli investigatori si trovarono a gestire non solo la scena del crimine più grave nella storia della lotta alla mafia ma anche un patrimonio informativo di inestimabile valore investigativo. Il fatto che questo documento sia rimasto nascosto per oltre trent’anni, senza essere mai trasmesso alla Procura di Caltanissetta che coordinava le indagini, solleva interrogativi profondi sulla gestione di quelle prime ore cruciali e sui silenzi che le hanno accompagnate.

Il ruolo di Giovanni Tinebra

Giovanni Tinebra, ex procuratore di Caltanissetta morto nel 2017, era il magistrato che, per primo, si occupò della strage di via D’Amelio. Un ruolo cruciale che lo poneva al centro della gestione delle prove e degli elementi investigativi raccolti sulla scena del crimine. Secondo quanto riportato nell’appunto di La Barbera, nelle sue mani sarebbe finita anche l’agenda del magistrato ucciso.

Paolo Borsellino

Il procuratore De Luca sottolinea però un aspetto inquietante: l’appunto “privo di qualsiasi sottoscrizione per ricevuta di quanto indicato da parte da Tinebra non era mai stato trasmesso a quest’ufficio nell’ambito delle indagini per la strage di via D’Amelio, né La Barbera ne aveva mai fatto menzione nel corso delle sue escussioni”. Un silenzio che ora assume connotati sospetti.

Le perquisizioni e i tempi sospetti

I carabinieri del Ros hanno perquisito tre appartamenti che all’epoca erano nella disponibilità di Tinebra, nelle province di Caltanissetta e Catania. L’obiettivo è quello di trovare elementi utili per fare luce sui depistaggi che seguirono la strage e sulla misteriosa sparizione dell’agenda rossa.

Un dettaglio temporale emerge con particolare significato: la borsa contenente l’agenda sarebbe arrivata nelle mani di La Barbera la sera del 19 luglio e sarebbe stata consegnata a Tinebra nella tarda mattinata del 20 luglio 1992. Come sottolinea il procuratore De Luca, questo lasso di tempo avrebbe dato a La Barbera “tutto il tempo di prelevare o estrarre copia della più volte citata agenda rossa”.

La loggia massonica di Nicosia

Ma l’indagine ha assunto dimensioni ancora più complesse con l’emergere di “concreti indizi circa la presenza di una loggia massonica coperta nella città di Nicosia in provincia di Enna”, di cui avrebbe fatto parte lo stesso Tinebra. Il magistrato aveva lavorato nella procura di Nicosia dal 1969 al 1992, un lungo periodo che coincide con gli anni più turbolenti della storia siciliana.

Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino, rese già nel 1998, gettano luce su un’organizzazione chiamata “Terzo Oriente”, nata “sulle ceneri della P2. Secondo Pennino, questa struttura si proponeva di “affiliare tutti coloro di cui non si poteva rendere manifesta l’appartenenza massonica, al fine di creare un organismo capace di gestire il potere al di sopra dei partiti e del Governo”.

La testimonianza di Angelo Siino

Ancora più diretta è la testimonianza di Angelo Siino, collaboratore di giustizia interrogato dalla Procura di Napoli alla fine degli anni ’90. Siino riferiva di conversazioni con Salvatore Spinello, massone che voleva creare “una super loggia massonica segreta nella quale potessero confluire esponenti politici di rilievo della imprenditoria e della criminalità organizzata in modo da creare rapporti di reciproca convenienza”.

Angelo Siino

In una conversazione particolarmente significativa, Spinello avrebbe dichiarato: “Tinebra è dei nostri anche lui, era della loggia di Nicosia …io naturalmente quando vado là, non vado pubblicamente ad abbracciarlo, perché non voglio comprometterlo”. Un riferimento esplicito che collega direttamente l’ex procuratore alla rete massonica segreta.

Il depistaggio e le false piste

L’indagine si inserisce nel più ampio contesto dei depistaggi che seguirono la strage di via D’Amelio. Le prime indagini, coordinate proprio da La Barbera, furono infatti deviate dalle false dichiarazioni di Vincenzo Scarantino, il falso pentito che per anni ha condotto gli investigatori su piste inesistenti.

Nel novembre scorso erano già state perquisite due abitazioni dei familiari di Arnaldo La Barbera, morto nel 2002, sempre alla ricerca dell’agenda rossa. Tra quegli appunti c’erano informazioni cruciali sui rapporti tra mafia, politica e massoneria che Borsellino stava indagando.

Una commemorazione carica di interrogativi

Oggi, 19 luglio, Palermo si ritrova ancora una volta in via D’Amelio per commemorare Paolo Borsellino e gli agenti della scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Una commemorazione che quest’anno assume un significato particolare alla luce delle nuove scoperte investigative.

L’intreccio tra magistratura, massoneria e criminalità organizzata che emerge dalle indagini disegna un quadro inquietante del potere sommerso che operava in Sicilia negli anni ’90. Un sistema su cui Borsellino aveva messo occhi e penna e che, secondo molti, potrebbe aver rappresentato una delle cause del suo assassinio.

Questioni ancora aperte

Nonostante gli accertamenti svolti, la Procura di Caltanissetta non è ancora riuscita a “verificare che detta consegna sia effettivamente avvenuta nelle mani del dottore Tinebra, né che l’agenda in questione fosse effettivamente l’agenda rossa e non altra agenda appartenuta al giudice Borsellino poi effettivamente rinvenuta”.

Rimangono quindi molti interrogativi aperti: l’agenda rossa è mai esistita? Se sì, cosa conteneva di così pericoloso da giustificare la sua sparizione? E quale ruolo hanno avuto le logge massoniche segrete nel sistema di potere che Borsellino stava indagando?

Un puzzle ancora da completare

Le recenti perquisizioni rappresentano un nuovo tassello in un puzzle complesso che dopo oltre trent’anni continua a celare i suoi segreti. L’intreccio tra magistratura, massoneria e criminalità organizzata che emerge dalle indagini disegna un quadro inquietante del potere sommerso che operava in Sicilia negli anni ’90.

L’agenda rossa di Paolo Borsellino potrebbe essere il pezzo mancante di una verità che può finalmente fare luce su uno dei periodi più bui della storia italiana. Una verità che, a trent’anni di distanza, sembra ancora lontana dall’essere svelata completamente.

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