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La ‘segregazione’ scolastica dei bambini rom

L’Italia non compare tra i Paesi che organizzano ‘scuole ghetto’ ma in alcune regioni, come in Calabria, le criticità ci sono. In alcune classi i bimbi di diversa etnia sono considerati portatori di disabilità.

Roma – La scuola discrimina i bambini rom. “Ho visto anche degli zingari felici” era il titolo di un album del cantautore bolognese Claudio Lolli pubblicato nel 1976. Probabilmente lo possono essere solo nella letteratura o nelle canzoni, perché nella realtà sono discriminati dall’istituzione scolastica, soprattutto i bambini rom. Questo succede con maggiore frequenza nelle regioni meridionali.

Il fenomeno è talmente esteso che il Parlamento Europeo, lo scorso mese di ottobre, ha denunciato la discriminazione in atto con una risoluzione in cui si evidenzia testualmente:

“la segregazione nel settore dell’istruzione assume forme diverse, tra cui la frequentazione da parte di un numero sproporzionato di bambini rom di scuole speciali per bambini con disabilità intellettive, la presenza di classi o sezioni segregate per gli alunni rom all’interno di scuole ordinarie miste e la prevalenza di scuole-ghetto”.

Questa denuncia capita in un momento storico in cui la nostra scuola è traballante, per una serie di motivi strutturali e di cattiva gestione. Spesso le scuole frequentate dai bambini rom operano col doppio turno e si trovano in edifici distaccati e obsoleti. Addirittura nei container e ghettizzati rispetto agli altri coetanei. Non bisogna essere un esperto per capire che un’istruzione di questo genere fa acqua da tutte le parti.

L’Italia non è presente nella lista dei Paesi che organizzano scuole-ghetto. Compaiono, invece Romania, Repubblica Ceca, Ungheria. Si tratta di Paesi in cui la presenza dei “rom”, uno dei principali gruppi etnici della popolazione di lingua romanì, detti anche “gitani” o “zingari”, è numerosa. Facendo le debite proporzioni la discriminazione, per quanto concerne l’accesso a diritti fondamentali si manifesta in maniera più esplicita.

Tuttavia queste peculiarità sono presenti, anche se in maniera silente anche in alcune regioni italiane, tanto da assumere aspetti strutturali. E’ il caso della Calabria, dove nella contrada Scordovillo nei pressi di Lamezia Terme, esiste il più grande campo rom del meridione ed è presente quella che l’UE definisce segregazione scolastica. Molti bambini del campo non sono stati iscritti a scuola per mancanza di aule e per la complicanza nel reperire il trasporto dei minori a scuola. Questa criticità colpisce anche quelli che sono iscritti, in quanto immessi in classi differenziali, eredità delle vecchie classi speciali, di cui, sinceramente, se ne poteva fare a meno. E’ facile, inoltre, trovare classi con bambini rom che vengono considerati portatori di disabilità.

Secondo l’ONLUS (Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale che svolge attività di solidarietà sociale) “Mondo dei Mondi” le famiglie di questi bambini ricevono un assegno di frequenza, che diventa fondamentale in un contesto abitativo e lavorativo dominato dalla precarietà. Non viene, tuttavia, spiegato loro cosa significhi, a livello scolastico, tale diagnosi e le possibili alternative ad esse. Attribuire carattere medico e far rientrare nella sfera della medicina eventi e manifestazioni d’altra natura, come i bisogni dei bambini rom, sposta la genesi del problema, che è ambientale, sociale e, infine, politico.

In questo modo si affievolisce la responsabilità degli amministratori locali, che hanno deciso di installare un impianto di videosorveglianza nel campo rom, del costo di 400mila euro. Così si risolvono i problemi! Uno Stato che si definisce democratico e civile non può lasciare indietro bambini e anziani di qualsiasi etnia in difficoltà, altrimenti non è né democratico e né civile, ma cinico!

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