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La mensa scolastica non è per tutti i bambini (soprattutto per quelli del Sud)

Secondo “Save the Children” il servizio di refezione è essenziale per la salute ed è necessario offrire la possibilità di accedervi a tutti, anche agli studenti in condizioni di povertà.

Roma – Purtroppo ci sono bambini di serie A e di serie B per quanto riguarda l’accesso alla refezione scolastica. Un bambino su due ha accesso alla mensa. E’ quanto stato diffuso il 29 novembre scorso alla Camera dei Deputati, durante la presentazione del documento politico “Mense scolastiche: un servizio essenziale per ridurre le disuguaglianze” a cura di “Save the Children” (Organizzazione Non Governativa per la promozione della salute e della crescita dei bambini in difficoltà) e dell’ “Osservatorio sui Conti Italiani” (organismo dell’Università Cattolica di Milano per la promozione di una migliore gestione della finanza pubblica del nostro Paese). Come al solito sono emerse le consuete differenze territoriali. Si passa da percentuali di chi accede alla mensa tra il 6 e l’8% nelle province di Palermo, Siracusa e Ragusa al 96% di Firenze. Le percentuali più basse riguardano le regioni del Sud.

E’ diventato quasi un refrain che si ripete all’infinito: ogni volta che si effettua una ricerca sociale ed economia, emerge il forte divario del Mezzogiorno. E’ diventato talmente scontato da potersi trasformare in una locuzione assiomatica. Le regioni più virtuose, anche questo è un dato scontato, sono tutte del Nord Italia. Secondo gli autori dello studio, se venisse offerto gratuitamente il servizio, il costo graverebbe sul bilancio per una cifra tra i 243 milioni di euro e i 2,4 miliardi circa. L’oscillazione varia a seconda se il servizio viene usufruito dal 10% o dalla totalità degli studenti.

Eppure, come stabilito dal Piano di azione nazionale per l’attuazione della Garanzia europea per l’Infanzia, che mira a prevenire e combattere l’esclusione sociale, la povertà dei minori e a combattere le disuguaglianze, il servizio mensa è essenziale per gli studenti. Nel nostro Paese ci sono circa 1,27 milioni di minori poveri, con picchi al Sud, mentre coloro in condizioni di povertà estrema sono l’1,7% secondo stime diffuse da Banca Mondiale e Unicef. Poi il 27% è in sovrappeso, mentre 1 bambino su 20 vive in povertà alimentare, con tutti gli effetti negativi che provoca un alimentazione a basso contenuto proteico. Uno degli strumenti per contrastare la dispersione scolastica, molto alta in Italia, è il “tempo pieno”, a cui è associata la mensa scolastica. In tal modo cresce l’offerta formativa con vantaggi sia per gli studenti, che possono migliorare il loro rendimento scolastico e sia per i genitori, soprattutto le madri che possono dedicarsi maggiormente al loro lavoro e non essere costrette ad abbandonarlo o chiedere il part-time per prendersi cura del loro figlio.

Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), che sembra essere considerato la panacea di tutti i problemi – ma le risorse prima o poi finiranno -, ha previsto un piano di 31 miliardi di euro per Istruzione e Ricerca, di cui 960 milioni per l’estensione del tempo pieno a scuola. Si spera che ne venga fatto buon uso, soprattutto per gli interventi di riqualificazione, riconversione e messa in sicurezza e senza… intrighi di vario genere, di cui siamo maestri! Secondo “Save the Children” bisogna considerare la mensa scolastica un servizio pubblico essenziale e fissarne un proprio “LEP” (Livelli Essenziali delle Prestazioni, garantiti dalla Costituzione su tutto il territorio nazionale) per offrire la possibilità di accedere alla mensa agli studenti appartenenti a famiglie in condizioni di povertà, non in grado di pagare le rette. Come sempre, l’auspicio è che dalle intenzioni si passi ai fatti concreti e che la politica si dia un sussulto di dignità e orgoglio. Non ci resta che rimanere in fiduciosa attesa!

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