Il 19 novembre 2024, 40.000 Maori hanno marciato pacificamente a Wellington contro la revisione del Trattato di Waitangi. Una lotta per i diritti e l’autodeterminazione.
Non sono rare rivendicazioni sociali di minoranze etniche in ogni angolo del mondo. Ora è il turno dei Maori, una popolazione di origine polinesiana che giunse in Nuova Zelanda fra il IX e il XIV secolo d.C. Sono gli indigeni della Nuova Zelanda, con una loro cultura che ha partorito una società complessa basata sulla pesca, l’agricoltura e l’artigianato. Furono sterminati dai bianchi nel XIX secolo, ma oggi sono integrati nella società neozelandese. Almeno così pare o è quello che si vuole narrare.
Il 19 novembre 2024 una marea umana di 40 mila persone si sono riunite davanti alla sede del Parlamento della capitale della Nuova Zelanda, Wellington. Non è che si fossero dati appuntamento per l’aperitivo o per fare bisboccia. Il motivo è ben più serio. Hanno chiesto ad alta voce di bloccare la legge di revisione del trattato di fondazione della Nuova Zelanda.
I Maori rappresentano il 20% della popolazione che consta 5,3 milioni di abitanti. La marcia di protesta è durata nove giorni durante i quali hanno manifestato molti leader della comunità e si sono susseguiti molti canti e danza. La loro più famosa è l’Haka resa popolare dagli All Blacks neozelandesi, la formidabile squadra di rugby, temuta e rispettata in tutto il mondo. Eppure, salvo il fascino e la curiosità che la visione della Haka può suscitare, questa danza cela un sacco di informazioni sulla cultura del popolo Maori. Una cultura che affonda le sue radici in un passato lontano.
Quando nel 1840 arrivarono i coloni britannici non riuscirono mai a sottomettere gli autoctoni. Gli inglesi così stipularono il trattato di Waitangi, con il quale si andavano a delineare le relazioni tra la corona inglese e i Maori locali. La Haka viene erroneamente considerata solo una danza di guerra. In realtà rappresenta un “messaggio dell’anima” del popolo Maori, un modo per esprimere le più vivide emozioni attraverso il movimento del corpo, le espressioni facciali, il ritmo dei battiti. La marcia, come sempre nella storia dei Maori, è stata pacifica e non rappresenta una sorpresa, in quanto è una modalità consueta delle relazioni tra il popolo Maori e i discendenti dei britannici.
L’aspetto ridicolo, quasi comico, se non si trattasse di un argomento così serio, è che ambedue i contendenti dichiarano qualcosa che l’altro nega, in una sorta di teatro dell’assurdo. I maori sostengono che nell’accordo scritto nella loro lingua è garantita l’autodeterminazione. Nella traduzione inglese della controparte si evince la cessione dei diritti e dei poteri di sovranità a Sua Maestà la Regina d’Inghilterra. Il disegno di legge di revisione del trattato, trasformato in “casus belli”, prevede la cancellazione della separazione tra discendenti dei colonizzatori e i Maori, con il termine “tutti neozelandesi”.
I proponenti del disegno di legge, inoltre, si sono mostrati contrari alle quote etniche nelle istituzioni pubbliche. Il timore dei manifestanti Maori, invece, è che la revisione del trattato potrebbe rivelarsi una truffa che finirebbe per depauperare i diritti dei nativi che già subiscono discriminazioni per quanto riguarda il diritto alla terra, all’istruzione e alla salute. Però sembrerebbe che la situazione politica in Nuova Zelanda sia molto ingarbugliata, per cui non ci sarebbe la maggioranza in Parlamento per l’approvazione della legge.
A prescindere da come si svilupperanno gli eventi, una notizia di questo tipo, seppur lontana dai nostri paradigmi culturali, porta alla ribalta un aspetto che si ripete ciclicamente in ogni tipo di società ad ogni latitudine. Esiste sempre un gruppo etnico, sociale o politico che anela a dominare su un altro con ogni mezzo e a discriminare altri per proprio tornaconto. Non sarebbe ora, nell’anno di grazia 2025, di smetterla con questi sotterfugi che, a volte, si trasformano in situazioni deleterie e vivere nel rispetto reciproco? E’ così difficile da attuare? Per le umani genti, sembra di sì!