Il problema nazionale sarà dove riporre il materiale radioattivo entro il 2030. L’Italia, al contrario di altri Paesi europei come la Svezia, non ha ancora individuato un sito sicuro dove stoccare non solo i rifiuti radioattivi rimasti in casa ma anche quelli che, a caro prezzo, abbiamo smaltito all’estero negli anni scorsi.
TRINO – Che fine farà la centrale nucleare Enrico Fermi di Trino? Per legge entro il 2030 non dovrebbe rimanerci nemmeno un mattone ma senza un programma di dismissione (non obbligatorio all’epoca della costruzione) come si procederà allo smantellamento delle parti più pericolose in sicurezza? Negli anni ’60 l’Italia decideva di votarsi al nucleare e poneva le basi per l’avvio della costruzione di tre centrali elettronucleari condotte da altrettanti modelli diversi di reattori. La prima è stata quella di Latina raffreddata con anidride carbonica, seguiva quella di Garigliano, nel comune di Sessa Aurunca, provincia di Caserta, con un reattore ad acqua bollente e infine quella di Trino con il suo reattore ad acqua pressurizzata, all’epoca il più potente del mondo.
Costruito dalla Edison Spa l’impianto è rimasto in funzione 10 anni producendo 13 volte il fabbisogno di energia elettrica della provincia di Vercelli e consumando ben 5 tonnellate di Uranio. La centrale, ubicata sul fiume Po per via dell’approvvigionamento idrico indispensabile per il funzionamento del reattore, non veniva mai bloccata se non per eventuali guasti. Poteva essere spento, in casi eccezionali, dopo aver consumato non meno di un terzo del combustibile e una volta fermo il ciclo di produzione, approfittando della sostituzione dell’uranio, veniva effettuata la manutenzione. Per funzionare la centrale aveva bisogno di grandi quantità d’acqua che veniva convogliata verso il nucleo del reattore atomico che la riscaldava. Una volta ottenuto il vapore a forte pressione questo veniva canalizzato verso le turbine che girando in maniera vorticosa trasferivano energia all’alternatore che produceva corrente elettrica.
Dopo la catastrofe di Cernobyl, nel 1987, la centrale veniva spenta ma solo dopo aver caricato il suo ultimo ciclo di uranio, per altro rimasto nei serbatoi. Nonostante le rassicurazioni dei tecnici la centrale di Trino rappresenta un grave problema, senza mezzi termini. L’impianto nucleare “Enrico Fermi”, come quasi tutti quelli esistenti al mondo, sono stati realizzati senza un piano di dismissione. Come se dovessero rimanere in piedi per chissà quanti secoli nonostante la loro vita media fosse stata stimata in 40 anni circa. L’assenza di questo progetto aveva fatto scaturire un’alternativa pericolosissima: la custodia protettiva passiva ovvero l’isolamento della centrale come zona off-limits fino al decadimento radioattivo che poteva durare anche diversi secoli. Alla fine del 1999 il governo varava norme per la dismissione delle centrali nonostante l’assenza di precisi progetti di abbattimento.
Ma solo nel settembre del 2015 tutto il combustibile del nucleo centrale veniva allontanato definitivamente e spedito all’estero. Adesso però rimane da affrontare un problema altrettanto serio che rende la centrale di Trino un vero e proprio incubo per la popolazione locale.
L’impianto gestito dalla Sogin Spa, che tratta le dismissioni di tutte le centrali Enel, dovrà vedersela con il “vessel” ovvero il recipiente sotto pressione dentro il quale si trova il nocciolo contenente parti di combustibile che, dopo la fissione, è diventato metallo radioattivo. Tale nucleo centrale dovrà essere tagliato in sicurezza esclusivamente sott’acqua e ci vorranno ben 5 anni per la bonifica. I tecnici prevedono di dismettere la centrale entro il 2030 ma l’Italia non ha ancora stabilito quale sarà il sito dove seppellire tutte le proprie scorie nucleari. In più Francia, Germania ed altri Paesi europei ci restituiranno tutte le nostre immondizie ionizzanti che avevano spedito loro negli anni pagando prezzi altissimi.
Ma noi non sapremo dove metterli e a Roma è già battaglia sull’ubicazione del sito che nessuno vuole sotto casa. In Piemonte, però, la gente trema:
”… Gli errori fatti nel passato ci sono costati moltissimo – dice Giorgio Prino di Legambiente – a Saluggia, Trino, Bosco Marengo e Tortona, si trovano l’80% dei materiali radioattivi presenti in Italia. Riteniamo assurdo continuare a mantenere una simile quantità di materiali in aree inidonee a causa della vicinanza a fiumi, falde, zone abitate e agricole di qualità. Il rischio che si corre in caso di eventi estremi. che per effetto dei cambiamenti climatici, sono sempre più probabili, intensi e ravvicinati, è elevato…”.