La decapitata di Castel Gandolfo

Un cadavere senza testa, le spoglie di una donna madide di sangue parzialmente coperte da fogli di giornale, un dedalo di intrighi passionali. Antonietta Longo, un macabro rebus irrisolto.

CASTEL GANDOLFO – Una massiccia chiglia squarcia l’acqua sotto di essa, increspandola mentre l’attraversa rendendola candida spuma che va perdendosi lungo la lignea fiancata della barcaccia a cui la chiglia stessa appartiene. A bordo del natante ci sono due uomini: il primo si chiama Antonio Solazzi, meccanico, l’altro Luigi Barboni, professione sacrestano. I due abitano a Roma e si stanno godendo una giornata di relax lontani dalla bollente città eterna. È il 10 luglio 1955, Solazzi e Barboni sono abituali della zona di Lago Albano e quella che stanno passando è una giornata come tante, almeno per il momento.

La coppia sbarca e dopo alcuni passi tra arbusti e canneti Solazzi nota qualcosa di strano tra le incolte ramificazioni legnose. Sembra un manichino, purtroppo non lo è. Avvicinatosi di qualche metro l’uomo accerta che quello che giace sotto alcuni fogli umidi del Messaggero, datati 5 luglio, è un cadavere femminile ed è decapitato. Lo shock spingerà i due uomini a denunciare il rinvenimento solo due giorni più tardi, il 12 luglio scattano le indagini.

Antonietta Longo

L’inchiesta e la ricostruzione del delitto

Il commissario Ugo Macera si occupa delle indagini. Il primo e più impellente compito degli investigatori è quello di dare un’identità alla vittima, cosa che non si rivelerà facile considerata l’assenza del capo e i polpastrelli già in decomposizione a causa delle alte temperature. La vittima è priva d’abiti, il ventre e la schiena presentano svariate profonde brecce provocate da un’arma da taglio, le ovaie sono state asportate. Sotto i poveri resti il terreno è pregno di sangue fino a 12 centimetri di profondità, il che indica che l’esecuzione deve essere avvenuta sul posto e, secondo il medico legale, la macabra decapitazione è quasi certamente opera di mani esperte.

Nei pressi delle spoglie nulla se non un orologio da polso di marca Zeus a 15 rubini. Anche se il giorno seguente l’unica informazione riguardo l’identitá vittima sarà l’età compresa tra i 25 e i 30 anni, come riportato da L’Unità, sarà proprio quell’orologio a rivelarsi determinante per risalire al volto della vittima. Ma non solo. La polizia redigeva anche una lista delle donne scomparse che possano combaciare con le caratteristiche fisiche del cadavere e, infine, giungono ad una potenziale identità: Antonietta Longo. La donna in questione, 30 anni, originaria di Mascalucia, in provincia di Catania, prestava servizio da sei anni presso l’abitazione della famiglia Gasparri, in via Poggio Catino 23, nel popolare quartiere Africano. Antonietta era stata vista l’ultima volta alle ore 22.30 del primo luglio 1955, poi era sparita nel nulla.

Tornando all’orologino trovato sul polso della vittima si scoprirà che il segnatempo appartiene ad un’edizione limitata, di cui sono stati prodotti solo 150 esemplari. Gli investigatori battono le gioiellerie della Capitale, ma quell’orologio non è stato venduto a Roma dove Antonietta lavorava come domestica bensì a Camerino dove viveva suo nipote Orazio Reina, che regalò l’oggetto alla vittima prima che quest’ultima si trasferisse nella Capitale.

Il cadavere della donna senza testa

A questo punto diventa fondamentale per le indagini ricostruire gli ultimi giorni di Antonietta Longo. Sarà così che gli investigatori si troveranno davanti ad un lungo susseguirsi di curiosi se non addirittura bizzarri eventi. Il primo luglio la vittima finisce il suo turno di servizio presso l’abitazione del funzionario del ministero dell’Agricoltura Cesare Gasparri (che ne riconoscerà il cadavere) e, dopo aver prelevato 231.120 lire dal suo conto, farà perdere le proprie tracce. Il 5 luglio, data riportata dai fogli del Messaggero adagiati sulla vittima, la Longo imbuca una lettera a Roma Termini. La missiva è indirizzata alla sua famiglia, a Mascalucia, a cui annuncia la prossima venuta al mondo di un figlio in vista anche delle imminenti nozze. Quello che succederà tra il primo e il 4 luglio non si saprà mai. Alcuni testimoni riferiscono di aver visto la donna in compagnia di un uomo mai identificato, altri dicono di averla vista trascorrere alcune notti in un motel da sola, quello che si sa quasi con certezza è che la pista passionale potrebbe essere quella più percorribile.

A rafforzare i sospetti a riguardo ci sono svariati acquisti di abiti e biancheria intima che la Longo avrebbe effettuato alla fine di giugno. Poi due valige, una depositata presso la stazione di Roma Termini il 4 Aprile e un’altra acquistata sempre a fine giugno. Il giorno 26 dello stesso mese Antonietta chiede al suo datore di lavoro trenta giorni di permesso. Poi quel maledetto primo luglio, giorno in cui la donna acquisterà un biglietto per la Sicilia, biglietto che non verrà mai utilizzato. Che cosa si cela sta sotto questa sequela di bizzarri comportamenti? Chi sono le persone che gravitano attorno ad Antonietta? E chi potrebbe aver voluto la sua morte e perchè?

Le ricerche di carabinieri e polizia

I sospetti e l’assassino senza nome

Gli inquirenti cercano di dipanare quelle fitte nubi fatte di mezze parole, azioni inusuali e intrighi romantici all’interno dei quali Antonietta sembra svanita. Si raccolgono testimonianze. Viene interrogato il proprietario di una trattoria il cui locale si trova sul quel ramo del lago di Albano. Come servizio extra agli avventori l’oste noleggia imbarcazioni e afferma che spesso le coppiette si godono una gita romantica sul lago a bordo dei suoi natanti. Il taverniere afferma altresì che proprio il 5 luglio, presunto giorno della morte della Longo, viene noleggiata un’imbarcazione da una coppia che non farà più ritorno. La barca verrà trovata solo il giorno seguente, con un solo remo e incagliata in un canneto nelle vicinanze.

Salta fuori che Antonietta Longo intratteneva relazioni più o meno strette con diversi uomini. Fra questi un impiegato del ministero dell’Aeronautica con cui la Longo era stata fidanzata alcuni anni prima e che sembra non essere mai uscito dalla vita della donna. Una barista afferma con certezza che tra il 4 e il 5 luglio la vittima le chiese di fare una chiamata col telefono del locale, all’altro capo della cornetta pare ci fosse un certo Antonio, pilota di aerei, che gli inquirenti in seguito identificheranno e interrogheranno giungendo però ad un nulla di fatto. L’ingente quantità di denaro prelevata dalla donna non viene mai trovata, proprio per questo si sospetta di una truffa sfociata in una morte violenta. Nonostante gli indizi, e dopo mesi di indagini che si arenano quasi subito il caso viene archiviato e la salma viene sepolta nel paese natale.

Il luogo del delitto

Passano due anni e la vicenda scivola piano piano nel dimenticatoio. Sono gli anni del miracolo Italiano, il Paese corre e la macabra fiaba di quella ragazza siciliana trucidata nel fiore degli anni sembra appartenere ormai ad un lontano passato. Sono trascorsi due anni dicevamo quando un detenuto del carcere Regina Coeli di Roma afferma di conoscere per certo l’identità dell’assassino di Antonietta Longo, si chiama Giuseppe Bucceri ed è il cognato del detenuto in questione. Quest’ ultimo afferma riguardo al cognato:” È un uomo abituato a truffare le donne promettendo di sposarle”. Afferma altresì: “Una volta, a una donna che aveva minacciato di denunciarlo, aveva detto che se lo avesse fatto le avrebbe tagliato la testa”. Gli investigatori approfindiscono la posizione di Bucceri, le indagini portano però ad un ennesimo nulla di fatto e la pista verrà abbandonata.

Passano altri anni, parecchi, è il 1971 e a casa dell’ultimo datore di lavoro della vittima, il sottor Gasparri, arriva una lettera anonima. Nella missiva si riporta che Antonietta Longo sarebbe morta durante un aborto e successivamente portata in quel campo e decapitata, col fine di celarne l’identità. Il racconto comincia a risultare verosimile nel momento in cui altre due missive vengono recapitate al Procuratore generale della Corte d’appello di Roma. In queste ultime viene confermata la versione dell’aborto, inoltre viene riportato che all’estremo gesto la Longo sarebbe stata spinta dal fidanzato, un uomo sposato che non poteva permettersi la nascita di un figlio illegittimo.

La stampa ne aveva parlato per anni sino all’archiviazione

Il fidanzato si chiama Antonio e al tempo faceva il pilota. Ovvero una di quelle relazioni di cui erano già erano a conoscenza gli investigatori. Nelle missive vengono esplicitati anche dettagli specifici del crimine: come le ferite addominali che, secondo l’amonimo informatore, sarebbero state funzionali al depistaggio riguardo l’operazione abortiva e come la testa sarebbe stata rimossa con lo scopo di nascondere l’identità e in seguito sciolta nell’acido. Antonio viene ritracciato, interrogato, ma tutti gli indizi che puntano nella sua direzione si riveleranno prove circostanziali e il caso verrà chiuso definitivamente.

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