Un consumo elevato di carni rosse nuoce alla salute e agli ecosistemi. Esistono altre alternative ma la dieta degli italiani è ancora troppo ricca di proteine animali e povera di fibre e vitamine
Il consumo eccessivo di carne, oltre a procurare danni alla salute del consumatore, ha effetti devastanti anche sul clima e sul pianeta. Sembra una boutade se si pensa alla gran parte della popolazione mondiale che vive sotto la soglia di povertà, in stato di indigenza. Per chi la carne la vede col cannocchiale, dunque, oltre al danno anche la beffa!
Invece è tutto vero. Un terzo della popolazione mondiale consuma tanta carne da produrre, con gli allevamenti intensivi, più emissioni di gas serra dei trasporti: il 18% misurato in biossido di carbonio.
Dalla documentazione edita dalla FAO, organizzazione delle Nazioni Unite per il cibo e l’agricoltura, dal titolo La lunga ombra dell’allevamento degli animali (Livestock’s Long Shadow), risulta che l’allevamento di animali libera il 9% del biossido di carbonio, il 37% di tutto il metano ed il 65% dell’ossido nitroso, la maggior parte generato dal letame.
Già all’inizio degli anni 2000, il fisico britannico Alan Calvert nella rivista “Physics World” scriveva:
“…Per ridurre il biossido di carbonio come gas serra nell’atmosfera non si dovrebbero consumare solo meno petrolio e gas, ma l’umanità dovrebbe cambiare le proprie abitudini alimentari. Se si riducesse radicalmente il consumo di carne e derivati, si potrebbe tenere sotto controllo il surriscaldamento globale…”.
Secondo la centrale dei consumatori della regione Renania, in Germania, la produzione di carne consuma una quantità enorme di energia e danneggia il clima. Infatti per produrre un chilo di carne bovina viene liberato il 6,5% di biossido di carbonio mentre per un chilo di verdura ne vengono emessi soltanto 150 grammi, equivalenti a una percentuale bassissima.
Il professore Winfried Drochner dell’Istituto per l’alimentazione animale dell’Università di Hohenheim (Germania) afferma: “…Alcune stime degli ultimi 50 anni indicano che la concentrazione di metano nell’atmosfera è aumentata di dieci volte e contribuisce per un quinto all’effetto serra…”. Si potrebbe rallentare il cambiamento climatico se venisse seguita un’alimentazione secondo il principio: non mangiate più bovini, rinunciate ai latticini!
È quanto sottolinea il ricercatore Ralf Conrad, del Max Plank Institute (una delle principali istituzioni tedesche nel campo della ricerca di base) del dipartimento di biogeochimica. Il metano prodotto dai batteri nello stomaco dei ruminanti è uno dei gas serra più dannosi: ridurne la concentrazione nell’atmosfera avrebbe un effetto positivo più rapido che cercare di diminuire l’emissione di biossido di carbonio. Conrad sottolinea che si potrebbe influenzare il ciclo del metano nell’atmosfera entro 8 anni, mentre per il biossido di carbonio ci vogliono decenni.
Sono esempi di ricerche scientifiche che inducono a stabilire i danni provocati dal consumo eccessivo di carne sia alla salute del consumatore che al clima e al pianeta in generale. Senza, per questo, offrire una sorta di lasciapassare all’emissione di sostanze inquinanti, considerandole marginali, da parte delle industrie (ILVA docet!), che la loro dose di responsabilità ce l’hanno, eccome.
A dimostrazione che l’attuale modello di sviluppo economico, che produce consumi e non beni, che fa un uso intensivo di risorse naturali in uno con la sperequazione nord/sud del mondo, è giunto al capolinea. È necessario ripensare a un progetto di economia e società che tenga conto di alcune priorità:
• una produzione slow nel rispetto dei ferrei cicli della natura
• salvaguardia della biodiversità
• sobrietà dell’economia e solidarietà dei rapporti sociali di produzione
L’obiettivo non dev’essere l’aumento tout court del PIL, ma la consapevolezza che per un… PIL si rischia l’autoannientamento. Scusatemi se è poco.