Beccato con le mani nella marmellata dai giudici tedeschi, e bacchettato da Bruxelles, il governo di Berlino sprofonda nei sondaggi.
Roma – Scoprire che la rigorosa Germania ha fatto tornare i conti nascondendo i debiti sotto il tappetto – non carabattole, ma qualcosa come 60 miliardi di euro – vale per noi italiani quanto il gol di Tardelli nella finale mondiale dell’82 o, per i più stagionati, quanto il definitivo 4 a 3 di Rivera nella “partita del secolo” di Messico ’70.
Un perfida nemesi si è abbattuta su Berlino, sul Paese autonominatosi vestale dei conti europei, sulle laboriose formichine prussiane che, con malcelata spocchia, da decenni alzavano gli occhi al cielo quando gli toccava di maneggiare gli stiracchiati bilanci pubblici delle cicale mediterranee. Quelli che eccepivano, consigliavano, minacciavano.
E almeno in un caso arrivarono a spezzare le reni alla derelitta Grecia, obbligata dalla troika a sputare lacrime e sangue – punirne uno per educarne cento – quando venne travolta dalla crisi del debito. E infatti il primo a togliersi un macigno dalla scarpa all’annuncio dei trucchi contabili tedeschi è stato proprio l’ex ministro greco Panagiotis Lafazanis, che riprendendo una velenosa ricetta suggerita al tempo ad Atene dal giornale tedesco Bild (“Vendete le vostre isole”) l’ha rimandata bellamente al mittente, gustandosi a distanza di anni una vendetta che, appunto, come è noto va servita fredda.
Ma come hanno fatto i rigorosi teutonici a trasformarsi in una banda di magliari di bassa lega? Semplice, non erano così rigorosi come volevano far credere. L’accusa proviene dalla Corte dei Conti tedesca (Bundesrechnungshof), secondo cui il governo di Olaf Scholz avrebbe nascosto le reali condizioni finanziarie del Paese attingendo a più riprese a fondi esterni al bilancio federale. Una manovra contraria alle regole europee, le stesse delle quali, appena tre mesi fa, Christian Lindner, ministro delle Finanze tedesco, nel corso del Consiglio Ecofin di Lussemburgo, con la solita squisita intransigenza richiamava l’osservanza: «Se si vuole mantenere stabile l’euro e il mercato unico, se si vuole rimanere competitivi servono regole fiscali che stabilizzino le finanze pubbliche».
Le stesse regole che Berlino ha bellamente eluso tramite un trucco contabile che adesso costringe il governo a rifare i conti e smentire quel freno al debito sancito dalla Costituzione che si era impegnato a rispettare. Come se Cannavacciulo scoprisse di aver servito uno spaghetto scotto!
Cadere sul bilancio sarebbe un disastro per il Paese del rigore, ma il rischio di un esercizio provvisorio c’è e per evitarlo la Germania si vedrà costretta a sorbire l’amara medicina che ha fatto trangugiare tante volte agli altri: tagli alla spesa sociale e ai sussidi per famiglie e imprese. Non esattamente una passeggiata di piacere per una coalizione di governo che, sondaggi alla mano, se si votasse oggi vedrebbe il maggior partito, i Socialdemocratici del premier Scholtz, perdere dieci punti sprofondando al 16%, la stessa percentuale di crescita assegnata invece all’estrema destra di Afd stimata al 21%.