Disoccupati, sottoccupati, lavoratori in nero in netto aumento specie nell’Europa del Sud. Si è scelto di spendere per la guerra piuttosto che per il welfare. Che tempi…
I Paesi europei nelle fauci feroci della disoccupazione. L’Eurostat, l’ufficio europeo di statistica, ogni volta che apre bocca sembra un impresario delle pompe funebri. Ogni sua analisi è una condanna a morte. Ma non ne ha, ovviamente, responsabilità. E’ la dura e cruda realtà. E’ il caso della disoccupazione. Sono ben 13 milioni i disoccupati nell’Unione Europea (UE), mentre oltre 4 milioni di cittadini sono alla ricerca, da almeno un anno, del lavoro perduto.
Una situazione che non può che esacerbare i pericoli di povertà, condizioni precarie di salute ed esclusione sociale. I Paesi del Sud Europa registrano il tasso più alto: Italia 6,1%, Grecia 5,4%, Spagna 3,8%. I più virtuosi sono: Paesi Bassi 0,5%, Malta 0,7%, Danimarca e Polonia 0,8%. Inoltre alcune aree regionali dell’Europa meridionale, alcune zone periferiche francesi e i territori spagnoli ai confini del Marocco hanno registrato cifre ancora più preoccupanti, oscillanti tra l’11,4% e il 16,3%. Lo stesso quadro si ripresenta nel Mezzogiorno d’Italia: Sicilia 8,0%, Calabria 8,3% e Campania 9,9%.
Dati che attestano le 3 regioni meridionali col tasso di disoccupazione tra i più elevati in Europa. I Paesi del Centro-Nord Europa, al contrario, manifestano una disoccupazione con tasso più basso, a testimoniare un mercato del lavoro vivace con una solida struttura produttiva. Un periodo molto lungo di disoccupazione innesca un processo perverso, caratterizzato da dissidi familiari, tensioni sociali, indigenza, consapevolezza di sé sotto i tacchi e, infine, problemi di salute mentale.
Tutte condizioni che si ripercuotono sulla collettività e sul sistema di welfare state, già precario in molti Paesi. Secondo il report: “Approcci innovativi per affrontare la disoccupazione di lunga durata“, a cura di Eurodiaconia, una rete europea di chiese e ONG cristiane che forniscono servizi sociali e sanitari, promuovendo la giustizia sociale, molti gruppi sociali si trovano sull’orlo del baratro. Si tratta di immigrati, disabili, giovani e cittadini con bassi titoli di studio. La criticità maggiore si riscontra tra i giovani nella fascia d’età 15-24 anni, che registrano una percentuale di disoccupazione del 14,9%, in crescita dal 2023.

I ragazzi che non studiano e non lavorano, rischiano di rimanere in queste critiche condizioni per molto tempo, come un abito cucito addosso. Il sapere professionale si deteriora, cresce la sfiducia nell’avvenire e nelle istituzioni, mentre le reti sociali si depauperano. Queste conclusioni coincidono coi dati di Eurostat, secondo cui il tasso di disoccupazione solo di coloro in possesso di bassi titoli di studio e degli immigrati è superiore a quello complessivo della disoccupazione totale.
Ora si è saturi e stanchi di studi, ricerche o analisi che da qualche anno registrano la stessa situazione, cantando lo stesso refrain. Lo si è altrettanto nei confronti delle istituzioni nazionali e internazionali, che, finora, hanno fatto orecchie da mercante. Se la situazione è a questi livelli non è responsabilità di qualche forza oscura e malevola, ma è il frutto di scelte politiche scellerate.
Come quella della NATO, a cui aderisce anche l’Italia, che per le spese della difesa ha fissato un obiettivo del 5% entro il 2035, che a sua volta si suddividerà in due categorie principali: almeno il 3,5% del PIL per la spesa militare “classica” e fino all’1,5% per investimenti in sicurezza e resilienza. Risorse sottratte al welfare. I disoccupati possono pure crescere e… morire!