Il video del furgone di Bossetti e la verità giudiziaria

La Corte d’Appello di Bologna ribalta la sentenza di primo grado: nessuna diffamazione, legittimo diritto di cronaca. Revocato il risarcimento da 35mila euro.

Si chiude definitivamente la battaglia legale che ha visto contrapposti l’ex colonnello dei Ris Giampietro Lago e diverse testate giornalistiche italiane. La controversia, nata dalla pubblicazione di articoli critici sul famoso filmato del furgone bianco legato all’omicidio di Yara Gambirasio, ha trovato la sua conclusione con una sentenza della Corte d’Appello di Bologna che ribalta completamente il verdetto di primo grado.

I giudici Gaudioso, Giuliano e Scalise hanno stabilito che non vi è stata alcuna diffamazione nei confronti dell’ex comandante dei Ris di Parma. La conseguenza pratica è che Lago dovrà ora restituire i trentacinquemila euro che aveva ottenuto dal Tribunale di Parma nella prima fase del giudizio civile contro il settimanale “Oggi”.

La vicenda affonda le radici nel 2015, quando emerse un dettaglio che suscitò grande clamore nell’opinione pubblica. Il filmato che mostrava un furgone bianco aggirarsi nei pressi della palestra frequentata dalla giovane vittima, negli orari considerati cruciali per ricostruire la sua sparizione, non era in realtà una registrazione continua. Si trattava invece di un assemblaggio di diverse riprese, un collage realizzato per scopi divulgativi. Tuttavia, questo particolare non era stato esplicitamente comunicato quando il materiale venne diffuso agli organi di informazione.

Un frame del video

La scoperta di tale omissione scatenò una valanga di polemiche. Numerosi giornalisti e testate, circa diciotto tra professionisti e redazioni, criticarono aspramente la gestione comunicativa dell’indagine da parte del Reparto investigazioni scientifiche. Gli articoli parlarono di video ingannevoli, di manipolazione delle immagini, sollevando dubbi sulla trasparenza delle informazioni fornite durante un’inchiesta così delicata e seguita dall’intero Paese.

La reazione di Lago fu immediata e decisa. L’ufficiale presentò querele penali contro i giornalisti che avevano firmato quegli articoli e avviò cause civili per ottenere risarcimenti dalle testate che li avevano pubblicati. La strategia legale dell’ex comandante sembrava inizialmente premiante: il Tribunale di Parma, città in cui Lago risiedeva al momento dei fatti, accolse le sue richieste condannando il settimanale “Oggi” al pagamento di una somma consistente.

Tuttavia, la situazione si è completamente capovolta in appello. I magistrati bolognesi hanno ribaltato quella decisione, accogliendo le argomentazioni dell’avvocato Caterina Malavenda, che ha difeso la testata. Il principio cardine su cui si fonda la sentenza è quello del “legittimo diritto di cronaca”: i giornalisti avevano agito correttamente nel riferire e commentare una notizia di evidente interesse pubblico, senza superare i limiti della critica ammissibile.

La Corte d’Appello ha inoltre fatto esplicito riferimento a precedenti decisioni giudiziarie sulla stessa materia. In particolare, i giudici hanno richiamato le motivazioni contenute in una sentenza del Tribunale di Milano relativa a un contenzioso analogo che coinvolgeva il quotidiano “Libero”. Anche in quel caso, la giustizia aveva riconosciuto la correttezza dell’operato giornalistico.

Già in sede penale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano aveva archiviato tutte le querele presentate dall’ex colonnello contro i giornalisti. Quella decisione del 2021 aveva già indicato una direzione precisa nell’interpretazione dei fatti, evidenziando l’assenza di elementi diffamatori negli articoli contestati.

Un aspetto significativo di tutta questa vicenda giudiziaria è che il discusso filmato non è mai stato utilizzato come prova nel processo penale vero e proprio. Massimo Bossetti è stato condannato all’ergastolo in via definitiva per l’omicidio della tredicenne di Brembate di Sopra sulla base di altri elementi probatori, principalmente di natura scientifica. Il video del furgone, nonostante il grande interesse mediatico che ha generato, è rimasto fuori dalle aule del dibattimento che ha portato alla sentenza definitiva.