Fa discutere l’atteggiamento del Partito Democratico che, da un lato propugna l’aumento delle donne in Parlamento, dall’altro è riluttante nel proporle tra le proprie fila.
Roma – Il Partito Democratico è alle prese con le varie dinamiche congressuali, si accinge ad avviarsi verso le primarie per la scelta del futuro segretario, senza però che si riesca a capire cosa distingue i pretendenti. Nonostante i candidati alla segreteria siano 4, 2 donne e 2 uomini, rimane un contenitore che non allarga le maglie al cosiddetto “gentil sesso”, ossia l’idiosincrasia verso la questione di genere è di casa dalle parti del Nazareno.
Con un piccolo sforzo di memoria si ricorderà la pubblica protesta delle parlamentari dem nei confronti della propria segreteria, dopo il giuramento del Governo Draghi. Vedere indicati dal proprio schieramento solo uomini per il nuovo esecutivo è stato indigeribile per loro. E con ragione. Allora Letta si impegnò, con un atto di coraggio, a far nominare due donne come capogruppo nei due rami del Parlamento. Invece soltanto pochi mesi fa, poco prima che una donna, la leader del centrodestra, si insediasse a Palazzo Chigi, è scattata un’altra protesta ampliatasi a livello nazionale. Insomma, è stata rilevata la scarsa rappresentanza femminile nella sinistra. Infatti, le donne del Pd si sono lamentate per l’esiguo numero di parlamentari “rosa” nel partito. Un vero atto di accusa, per il posizionamento in lista assegnato, che ha determinato mancate elezioni del genere femminile.
L’accusa esplicita al gruppo dirigente è stata di sessismo per aver voluto avvantaggiare i candidati uomini. Le due donne che si sono candidate alla segreteria del Pd, per esempio, non hanno alcuna chance di superare il candidato forte del partito democratico, almeno secondo i sondaggi interni ai dem. Ciò per diversi fattori, alleanze, storie personali, programmi e possibili intese interne al centrosinistra. È come se la disputa, al femminile, fosse relegata a chi arriva al secondo posto. Insomma, fumo negli occhi e nessuna novità degna di rilievo, venendo soprattutto bypassati i veri motivi che hanno determinato la sconfitta elettorale, nonostante l’occupazione di posti chiave nei ministeri e nelle aziende pubbliche. Anche in alcune città dove si è proceduto al rinnovo di direzioni provinciali e comunali dem, si è avviato un percorso “a freddo”, senza analizzare le motivazioni di tanto vuoto politico.
Le analisi, invece, vanno fatte e anche sedimentate. Però, paradossalmente, nonostante questo deficit di democrazia interna, gli stessi attori contestano alla prima donna premier di non essere molto portata per le questioni di genere. Il congresso del Pd suscita, però, molto interesse tra le variegate forze politiche dell’opposizione. Soprattutto in casa “pentastellata” e “terzopolista”, per le ricadute nei rispettivi partiti. Il M5S, tra i due maggiori candidati, dovrebbe avere interesse verso Elly Schlein, in quanto dichiaratamente antirenziana e a favore del ripristino dell’asse privilegiato con i 5 Stelle e con il loro leader. Eppure, Conte spera in realtà che vinca Bonaccini. Proprio lui, il riformista, “l’amico di Renzi”, che provoca nervosismo tra le file pentastellate solo a nominarlo.
Il motivo è presto detto: se Schlein dovesse ribaltare i pronostici, il Pd proverebbe a pescare nello stesso bacino elettorale, sventolando le stesse bandiere, mentre Conte punta tutto sulle europee del 2024 per consolidare la supremazia sul Pd. Tra i leader del terzo Polo, invece, le preferenze sono invertite. Se dovesse vincere Schlein si aprirebbero per il loro partito liberal-democratico in costruzione ampie praterie, alludendo naturalmente ai possibili voti dei riformisti e dei moderati in uscita da un Pd schleiniano. Ma Calenda e Renzi, che conoscono meglio di Conte il loro vecchio partito, non si fanno troppe illusioni.