Dopo una lunghissima e impunita scia di sangue, un nuovo profilo genetico potrebbe svelare l’identità del “Mostro” a più di 60 anni dal primo omicidio. Si riapre la caccia al fantasma.
Milano – Prima di diventare la scintillante Milano “da bere”, degli anni ‘60 e ‘70, la metropoli lombarda pareva più una zona di confine. Ogni giorno si consumavano scontri feroci tra studenti e forze dell’ordine, tra fazioni di destra e di sinistra, tafferugli che si lasciarono dietro una sterminata scia di giovani cadaveri. In concomitanza con gli scontri politici, a peggiorare la situazione, cominciavano a nascere e proliferare le bande della mala milanese. Fabio Miller Dondi, ex investigatore della polizia, ha bene descritto il clima teso e pericoloso della Milano anni ’70. La situazione problematica in cui versava la città, ben lontana dall’immagine ordinata di oggi, veniva descritta dall’ex militare durante la puntata del 10 giugno 2024 di Far West, il programma crime targato Rai. Le sue dichiarazioni riaccesero all’epoca i riflettori sul presunto “Mostro di Milano”, collegando tra loro otto omicidi rimasti senza colpevole proprio fra il 1960 ed il 1970. Delitti accomunati da inquietanti somiglianze, che fanno sorgere il dubbio: dietro quei crimini si nasconde forse la stessa mano rimasta ancora oggi senza un nome?

La riapertura
La riapertura del caso potrebbe essere dovuta proprio a una delle vittime accostate al mostro: Adele Margherita Dossena. La donna, madre dell’attrice Agostina Belli, icona del cinema italiano degli anni ’80 e indimenticabile interprete di Profumo di donna (1974), fu brutalmente assassinata a coltellate all’età di 54 anni. Quest’ultima gestiva una pensione frequentata soprattutto da studenti, e fu proprio in quel luogo che la sua vita trovò il terribile epilogo. Oggi, a cinquant’anni di distanza, una svolta potrebbe essere vicina grazie all’impegno della figlia della vittima che, insieme al criminologo Franco Posa, ha recuperato alcuni reperti mai analizzati tramite le moderne tecnologie forensi. Fra questi: i frammenti di un telefono distrutto durante l’aggressione, ancora intrisi di sangue, ma anche tracce biologiche come peli e DNA. Le nuove analisi hanno restituito un profilo genetico sconosciuto, un “ignoto numero uno” che potrebbe appartenere all’assassino. Convinti che dietro a questo e forse ad altri delitti si celi la stessa mano, i legali hanno chiesto al tribunale di Milano di riaprire il fascicolo. È stato proprio il criminologo Posa il primo a suggerire che una serie di omicidi rimasti senza colpevole potrebbero essere collegati.

La mattanza del mostro
Presupponendo che il “Mostro di Milano” sia effettivamente esistito, quale poteva essere il suo schema criminale? Secondo il nuovo filone investigativo la lunga catena di omicidi inizia il 25 novembre 1963 con Olimpia Drusin, una prostituta come del resto molte delle altre vittime. Poco dopo, il 5 maggio 1964, veniva ammazzata un’altra lucciola: Elisa Casarotto, conosciuta tra i camionisti come “la Betty”. Quest’ultima era amica intima di Adele Dossena. Ma anche il caso Casarotto finì in archivio senza un responsabile. Il terzo omicidio avviene il 3 ottobre 1969. La vittima è Alba Maria Letizia Trosti, ambulante di giorno e prostituta di notte nella zona di via Torino. Dopo di lei, proprio Adele Margherita Dossena. Il 15 giugno 1971 tocca a Salvina Rota, che aveva lasciato da poco la strada per un impiego in un grande magazzino.
Tiziana Moscadelli, viene ritrovata senza vita tra l’11 e il 12 febbraio del 1976. Anche lei si prostituiva, tra parco Sempione e Ravizza. Il 17 marzo 1975 è la volta di Valentina Masneri, 25 anni, stilista impiegata all’Anic. A differenza delle altre, quest’ultima non aveva legami noti con la prostituzione. La donna era infatti sposata con un fotografo, proprio quest’ultimo scoprì il cadavere nel loro appartamento. I tratti comuni tra i casi sono evidenti: quasi tutte le vittime avevano legami con la prostituzione e sono state massacrate con decine di coltellate. Un’escalation di violenza che suggerisce non solo l’intento di uccidere, ma una rabbia feroce e incontrollata. In criminologia si parla di overkilling: un numero eccessivo di ferite che va ben oltre il necessario per togliere la vita, indice di una furia cieca, forse personale.

Chi è il mostro di Milano?
Tutto ciò che si conosce del presunto serial killer meneghino emerge dal suo profilo psicologico. Il medico legale Carlo De Rosa ha tracciato un quadro inquietante: “La maggior parte dei colpi erano concentrati sul volto, come se volesse cancellare l’identità delle sue vittime”. Un dettaglio fino a poco tempo fa inedito, che apre uno spiraglio sulla mente dell’assassino. Secondo De Rosa si tratterebbe di un cosiddetto “missionario”, un tipo di serial killer convinto, nella sua visione distorta e patologica, di avere una missione da compiere, in questo caso, eliminare le mondane. Il meretricio era probabilmente riconosciuto dal sicario come incarnazione del degrado morale. De Rosa aggiunge che il killer non si limitava a togliere la vita alle sue vittime: “[…]voleva annientarle completamente, cancellarne l’esistenza. L’intensità e la violenza degli attacchi – sempre brutali, sempre eccessivi – raccontano di un odio profondo e sistematico”. Tutti gli omicidi sono stati compiuti con la stessa mano, quella sinistra, e con un’aggressività spietata. È tutto ciò che, ancora oggi, sappiamo sul mostro.