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Il mercato del lavoro discrimina i disabili: solo il 20% ha un’occupazione

Lo testimonia la Relazione annuale al Parlamento: Inapp, il 59% dei contratti a tempo determinato, mentre il 25% è indeterminato.

Roma – Il Belpaese dimostra preclusione verso i lavoratori disabili, considerandoli una zavorra. Il numero delle persone iscritte al collocamento specifico cala ogni anno che passa, così come le assunzioni. Sono sempre più scarsamente presenti, infatti, lavoratori disabili negli uffici, in fabbrica o nelle imprese. A fare il punto sullo stato dell’arte è stata la presentazione, il 10 aprile scorso, dell’XIma Relazione annuale al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge 12 marzo 1999, n. 68 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”.

La relazione è stata presentata dalla ministra (seguendo i dettami del nostro premier dovrebbe essere utilizzata la locuzione al maschile, ma tant’è) Marina Elvira Calderone, nonché curata dall’Istituto Nazionale per le Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP). Quest’ultimo è un Ente pubblico di ricerca di rilevanza nazionale, vigilato dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, che si occupa di studio, ricerca, monitoraggio e valutazione delle politiche pubbliche negli ambiti del lavoro, istruzione e formazione, protezione sociale, politiche attive e passive del lavoro, terzo settore, inclusione sociale, e delle politiche che producono effetti sul mercato del lavoro.

I numeri non mentono e confermano una percezione diffusa. Ovvero il trend è sempre più negativo, manifestando enormi difficoltà nel realizzare l’autonomia grazie al lavoro per le persone con gravi disabilità. L’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) ha reso noto che nel nostro Paese solo il 20% delle persone disabili tra i 15 e 64 anni lavora, mentre la media europea è del 50%. Una differenza non da poco.

Secondo la legge, le aziende pubbliche e private con minimo 15 dipendenti, devono rispettare alcune clausole per l’assunzione. Quelle con oltre 50 dipendenti devono assumere almeno il 7% di lavoratori disabili, quelle tra il 36 e i 50 dipendenti almeno 2 disabili e quelle tra i 15 e 35 dipendenti un lavoratore disabile. Sono previste ingenti multe per chi non rispetta le regole che vanno a confluire nel Fondo regionale per l’occupazione dei disabili. Ma, come spesso succede in Italia, l’applicazione delle norme varia a seconda delle Regioni, così come il numero dei controlli, che è irrisorio. Inoltre i dati delle sanzioni, non sono pubblicamente disponibili -inammissibile in uno Stato che si ritiene democratico- in quanto non sono centralizzati e si disperdono nei rivoli di diversi organismi: Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ispettorati del Lavoro, Regioni.

I dati della Relazione si fermano al 2021, anno in cui le assunzioni sono diminuite rispetto al 2019. Il 59% dei contratti è stato a tempo determinato, mentre il 25% a tempo indeterminato. Gli esperti dell’INAPP sono del parare che il sistema del collocamento specifico è obsoleto a causa dei cambiamenti avvenuti nel mercato del lavoro. E il comparto del pubblico impiego non se la passa meglio. Le ragioni vanno ricercate anche nella mancanza di dati recenti, quelli a disposizioni sono vecchi e quindi inattendibili, non consentendo una valida programmazione. Col calo delle assunzioni di lavoratori disabili è cresciuto il senso di abbandono da parte delle istituzioni che avvertono le famiglie.

Lo storytelling corrente ha esaltato, tra trombe e fanfare, l’aumento dell’occupazione generale. A parte il fatto che è crescita molto quella a tempo determinato, non un minimo accenno è stato fatto per il fenomeno inverso che ha riguardato i lavoratori disabili. Secondo gli esperti bisogna incentivare e semplificare le procedure di accesso all’occupazione. Inoltre formare adeguatamente le figure professionali deputate all’inserimento lavorativo dei disabili. Infine, riconoscere pienamente i diritti dei lavoratori disabili, come ratificato dalla Convenzione ONU per le persone con disabilità. E, soprattutto, non considerarli “figli di nessuno”, dimenticati dalle istituzioni. La disabilità non è uno stigma sociale, ma una condizione da non discriminare per una società che si ritiene civile!

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