Nei palazzi di Bruxelles è dato stabilmente in pista per la presidenza della Commissione o, in alternativa, per quella del Consiglio europeo.
Roma – Non c’è più tempo per l’Ue. Se l’Europa vuole sopravvivere nella competizione globale, in particolare quella che arriva da Cina e Usa, occorre “un cambiamento radicale” e una strategia comune che garantisca “economie di scala”, la “fornitura di beni pubblici” e “l’approvvigionamento di risorse e input essenziali”. Parole che rappresentano il manifesto di Mario Draghi, ex premier italiano e presidente della Bce, pronunciate a La Hulpe a una conferenza organizzata dalla presidenza di turno belga dell’Ue. L’ex premier ha tracciato le linee fondamentali del rapporto sulla competitività che dovrebbe essere presentato a luglio, sottolineando la necessità di intervenire subito.
Occorre “riflettere profondamente su come siamo organizzati, cosa vogliamo fare insieme e cosa vogliamo mantenere a livello nazionale”, ha detto. “Ma data l’urgenza della sfida, non possiamo concederci il lusso di rimandare le risposte a una futura revisione del Trattato”. Le reazioni non si sono fatte attendere, né in Italia né in Europa. E sull’ipotesi di una sua candidatura ai vertici delle istituzioni europee c’è ancora una certa cautela. Nei palazzi brussellesi è dato stabilmente in pista per la presidenza della Commissione o, in alternativa, per quella del Consiglio europeo. A Bruxelles la sensazione è che, fino al voto, tutte le cancellerie manterranno le carte coperte. Ma più di una fonte non fatica ad osservare come, da quando è candidata del Ppe, lo scenario per Ursula von der Leyen sia cambiato.
“Draghi ha i titoli per ambire ad ogni ruolo”, ha sottolineato il presidente del Senato Ignazio La Russa. Ben diversa la reazione di Francesco Lollobrigida, meloniano di ferro. “Bene che Draghi riconosca gli errori del passato, forse siamo stati anche noi a convincerlo”, è stata la frecciata del ministro. Eppure l’impressione è che tra Draghi e von der Leyen le destre europee non abbiano dubbi: “Non so se sarà presidente ma è bravo, mi piace”, è stata la sentenza di Viktor Orban che, da luglio, sarà anche presidente di turno dell’Ue. Poi l’affondo di Matteo Salvini, che senza dire nulla nello specifico su Draghi ha fatto notare il curioso tempismo con cui escono i primi stralci del suo nuovo libro: la presentazione è prevista il 25 aprile, a Milano, a due passi dalle manifestazioni per la Liberazione.
I primi brani del volume resi noti raccontano di uno stile dell’ex premier che non ha convinto molto il leader leghista. Che faceva parte del suo governo ma, racconta, non è stato consultato sui ministri, alcuni definiti “sconcertanti”. Mentre è stato sondato “come in generale il centrodestra”, per una sua “eventuale ascesa al
Colle”. Un affondo, indiretto, che arriva mentre continuano a fare discutere, a Roma come a Bruxelles, le parole di Draghi sulla competitività e le sfide che aspettano l’Europa. Ne parlano i partiti italiani, alle prese con le liste per le elezioni europee, e ne parlano i leader riuniti per l’ultimo Consiglio, straordinario, prima del voto del 9 giugno. Sul quale punta tutto Giorgia Meloni per provare a imporre quel “cambio di passo” che, nei suoi piani, difficilmente potrebbe contemplare il suo predecessore in prima battuta, quando ci si siederà al tavolo delle trattative.
Certo, il nome in campo c’è, a maggior ragione dopo il discorso di La Hulpe ma poi bisogna raccogliere il consenso dei partner (e dei parlamentari europei, nell’ipotesi della presidenza della Commissione) e non bisogna dimenticare che spesso “chi entra papa esce cardinale”, come sottolinea, sibillino, il capogruppo di Fdi alla Camera Tommaso Foti. E il pensiero di tutti va alla corsa al Colle di inizio 2022. L’ex premier non è certo in cerca di incarichi, ma sta preparando con impegno il dossier che presenterà tra giugno e luglio, comunque dopo il voto, dice chi ha avuto modo in questi giorni di contattarlo, sottolineando proprio che per ipotizzare qualsiasi scenario prima bisogna aspettare l’esito delle elezioni.
Un concetto che esprime anche Emmanuel Macron, nei rumors tra i principali sponsor di un ruolo di primo piano per l’ex presidente della Bce nei nuovi assetti europei post voto: Draghi, dice il presidente francese, “è un amico formidabile” ed è stato “un grande presidente del consiglio” ma, si tiene cauto, “la politica non si fa così”. Certo Draghi piace, perfino a Viktor Orban che per la seconda volta esprime il suo gradimento ma precisa di non voler “interferire” con questioni italiane. Perché è chiaro che quel nome riempirebbe nella commissione la casella che spetta all’Italia. E che non potrebbe che essere, nel caso, un nome portato da Roma.
Il primo ministro ungherese, peraltro, incorona Meloni come possibile “guida” dei conservatori europei,
mentre sono aperte le trattative per un ingresso del suo partito in Ecr di cui lei è presidente. Ma la questione Orban, così come quella di eventuali altri ingressi, è rinviata sempre a dopo il 9 giugno. Mentre più vicina dovrà essere la valutazione sull’opportunità o meno di indicare uno Spitzenkandidat per la commissione. I polacchi premono e hanno anche già un nome, quello dell’europarlamentare Jacek Saryusz-Wolski, come annuncia l’ex premier Mateusz Morawiecki. Che ha visto Meloni e con lei ha parlato, tra l’altro, proprio di configurazioni politiche dopo le elezioni del Parlamento europeo”.
Anche il leader del Pis è cauto sul nome di Mario Draghi perché “resta da vedere se ci sia abbastanza potere politico per presentarlo come un candidato valido”. Nel frattempo a Roma a spingere per un ruolo in Ue per l’ex premier ci sono i partiti più piccoli che nel frattempo stanno preparando le liste. Da Matteo Renzi, che presenterà Stati Uniti d’Europa sabato, a Carlo Calenda, che si presenta con ‘Siamo europei’.