IL CANTO DELLA RIVOLTA

Hong Kong: l’affluenza è stata un record (71,2% degli aventi diritto, contro il 47% delle precedenti elezioni). Nove elettori su dieci si sono schierati con le forze democratiche, le stesse che hanno animato una protesta che dura ormai da quasi sei mesi, mentre il fronte vicino a Pechino ha conquistato 42 soli seggi su 452.

Hong Kong“Cinque domande”, che poi sono piuttosto cinque richieste precise: il ritiro definitivo (e non solo provvisorio, come promesso dal governo cinese) dell’emendamento alla legge sull’estradizione, che avrebbe permesso di trasferire in Cina i processi per reati gravi (un emendamento che i manifestanti temevano potesse venire strumentalizzato per colpire i dissidenti politici e in ragione del quale sono cominciate le proteste); le dimissioni della governatrice emissaria dello Stato centrale, Carrie Lam; un’inchiesta senza sconti sugli abusi della polizia contro i manifestanti; il rilascio dei civili arrestati; un’implementazione delle libertà democratiche.

Su questi cinque punti si è compattato il 90% della popolazione di Hong Kong, chiamata alle elezioni locali. L’affluenza è stata un record (71,2% degli aventi diritto, contro il 47% delle precedenti elezioni). Nove elettori su dieci si sono schierati con le forze democratiche, le stesse che hanno animato una protesta che dura ormai da quasi sei mesi, mentre il fronte vicino a Pechino ha conquistato 42 soli seggi su 452.

A livello normativo cambierà poco e niente, le elezioni locali hanno un valore più simbolico che effettivo, i delegati hanno in concreto pochi poteri. Si è trattato, però, di un vero e proprio referendum sulle proteste, il cui esito non era affatto scontato.

La linea di Xi Jinping, somministrata nella “città-stato” dal volto apparentemente presentabile di Carrie Lam, era fino ad ora stata quella della guerra di trincea. L’anomalia di Hong Kong, agli occhi del Governo cinese, risulta all’evidenza inammissibile; allo stesso tempo, però, un intervento apertamente repressivo su un territorio in costante contatto con il mondo occidentale avrebbe potuto procurare serie grane diplomatiche a Pechino. L’opzione dello Stato centrale è ricaduta, allora, su una continua sequela di provocazioni e di prevaricazioni; di rosicchiamento dei diritti civili, di mano libera alla polizia. La logica di fondo era: se disseminiamo a piccole dosi la paura, se mettiamo in crisi l’economia, se spaventiamo la popolazione per interi mesi, saranno i cittadini di Hong Kong i primi ad abbandonare i loro manifestanti; a scendere a più miti consigli.

All’evidenza non è andata così. I manifestanti (per lo meno quelli non ancora rinchiusi in carcere o non assediati all’interno delle università) si sono tolti le maschere e sono andati ai seggi. Il 90% della popolazione li ha seguiti e sostenuti. E adesso questa gente ribadisce con forza le sue “cinque domande” al Governo cinese.

Le prossime evoluzioni sono incerte: un fatto è che – a prescindere dalle dichiarazioni di facciata di Lam, “ascolteremo con umiltà i cittadini” – la linea dell’assedio non ha pagato per Xi Jinping: è davvero così inverosimile, allora, che, forzata ad una scelta netta, Pechino opti per una svolta repressiva vera e propria?

Dipenderà anche da noi occidentali, in parte perché la vicenda dovrebbe interessarci, Hong Kong è a tutti gli effetti una enclave di occidente nella pancia robusta del gigante cinese. Sono in gioco due visioni del mondo: una la conosciamo; nell’altra il Governo centralizza tutto, i lavoratori non hanno diritti, i media e internet sono controllati, le persone ogni tanto spariscono e gli oligarchi si comprano alcune tra le più importanti società europee senza che sia nemmeno possibile ricostruire con esattezza il loro albero genealogico.

Dipenderà da noi anche perché, all’evidenza, e per quanto coraggio possa mostrare al mondo, Hong Kong, alla lunga, non può resistere da sola. Gli esempi si sprecherebbero: da Fort Alamo al Distretto 12 della trilogia degli Hunger GamesToccherà ad opinione pubblica e diplomazia occidentali, questa volta, trasformarsi in “ghiandaia imitatrice”, o le cinque domande saranno destinate a restare senza risposta.

p.s. qualcuno poi magari glielo spiega ai dirigenti di certi partiti italiani che forse non era esattamente il caso di andare, proprio in questo periodo, a baciare la pantofola all’Ambasciatore cinese? E che non ci sono vasetti di pesto (con aglio o senza) che tengano?

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