Gli adolescenti e i giovani adulti di oggi sono più tristi rispetto al passato. Tra le cause: social, solitudine, clima e futuro incerto.
Qualsiasi manuale di medicina e di psicologia definisce l’adolescenza come “quel periodo di transizione tra l’infanzia e l’età adulta in cui si susseguono cambiamenti su molteplici livelli. È una delicata fase di vita che racchiude in sé grandi mutamenti e grande disorientamento, con rilevanti trasformazioni fisiche e psicologiche che i ragazzi e le loro famiglie devono affrontare. Si caratterizza per l’intensità delle emozioni e l’importanza del gruppo dei pari, oltre che per il cambiamento nel rapporto con le figure genitoriali e una ridefinizione dei confini”.
E’ una fase della vita che è sempre stata considerata come un periodo spensierato, in cui bisogna osare ed essere sfrontati. Almeno questo era il pensiero comune ricorrente fino a qualche decennio fa. Ed invece la realtà appare più sfumata di come la si racconta.

Una recente ricerca a cura dell’ONU ha evidenziato che i ragazzi di oggi sono più tristi rispetto a quelli delle generazioni di una volta. Tra i 12 e i 25 anni, soprattutto se donne, il leitmotiv principale è l’insoddisfazione. Tale aspetto sembra collocabile antecedentemente il Covid. Infatti, i disturbi mentali sono notevolmente cresciuti nella fascia d’età tra i 18 e 34 anni dell’ultimo ventennio e, con molta probabilità, la pandemia ne ha esacerbato gli effetti. Le cause sono tante e varie, tra cui il mito dell’efficienza, della prestazione ad ogni costo. Ma un ruolo chiave lo giocano anche l’individualismo esasperato, l’utilizzo dei social, il cambiamento climatico, la solitudine, il futuro incerto e la situazione economica precaria.
Secondo un’indagine dell’Istituto Piepoli, centro di ricerche di marketing e opinioni, dello scorso febbraio, la lista delle doglianze giovanili nel nostro Paese è abbastanza lunga. Comprende, problemi di salute, eventi critici, disagio dell’affettività. Quando si effettuano dei sondaggi, tuttavia, a volte, può capitare che emergono risultati sorprendenti. Infatti, il dato dei giovani italiani che si sono dichiarati “felici” o “molto felici” è stato del 38%, in contrasto con le ricerche dell’ONU. Malgrado questi voli quasi pindarici che si effettuano nelle ricerche sociali, comunque, la differenza è solo apparente, perché risultano essere più soddisfatti della loro vita gli over 54 per l’80%. Ad una visione più dettagliata, quindi, il risultato di questo andamento lento, seppur in modo parziale, conferma i dati della ricerca dell’ONU. Vale a dire che la giovinezza è l’età della tristezza, altro che spensieratezza!

Non si è lontani dal vero quando si afferma che la leggerezza dovrebbe essere tipica dell’età adolescenziale e garantita come un diritto. Ogni ragazzo dovrebbe avere l’accesso facilitato a situazioni che possano offrire serenità e assenza di preoccupazioni, per le quali c’è sempre tempo, purtroppo. Inoltre, bisogna dotare i ragazzi degli “arnesi” idonei a raggiungere l’obiettivo.
L’impresa non è semplice, vista l’incertezza che regna nello scenario complessivo reale, a cui si aggiunge un certo tipo di decodificazione degli eventi. Infatti, spesso non sono i fatti in sé per sé a scalfire il benessere di una persona, ma come si raccontano gli avvenimenti. Le agenzie educative, quali scuola, famiglia, associazioni varie e il luogo di lavoro, dovrebbero essere spazi in cui stemperare le tensioni e trovarvi quel senso di comunità, spesso, mancante e che può fungere da antidoto allo stress!