Hydra, l’alleanza che ha unito Cosa nostra, ’ndrangheta e camorra

Il super pentito William Alfonso Cerbo, detto Scarface, racconta la nascita del “Consorzio lombardo”, una struttura nata nel 2019 per gestire affari, patrimoni e relazioni politiche.

Milano – Il capoluogo lombardo, con le sue torri di vetro, le fiere internazionali e il ritmo incessante della finanza, è da sempre simbolo del potere economico italiano. Ma sotto la superficie del progresso e dell’efficienza, le indagini della Procura di Milano hanno scoperto un’altra realtà: un sistema criminale ramificato, organizzato come una multinazionale, in cui Cosa nostra, ’ndrangheta e camorra si sarebbero unite per gestire insieme affari, investimenti e riciclaggio.
Questo sistema, ribattezzato “Consorzio lombardo”, è il cuore dell’inchiesta Hydra, un’indagine che sta riscrivendo la geografia del potere mafioso nel Nord Italia.

A far emergere i dettagli di questa alleanza è stato William Alfonso Cerbo, 43 anni, conosciuto nel mondo criminale come Scarface. Figura di rilievo del clan catanese dei Mazzei, Cerbo ha deciso di collaborare con la giustizia a metà settembre 2024. Da allora ha reso sei verbali fitti di rivelazioni, consegnati ai magistrati Alessandra Cerreti e Rosario Ferracane e al Nucleo investigativo dei Carabinieri di Milano, diretto dal colonnello Antonio Coppola.

Il 24 ottobre scorso la Procura ha depositato in aula quasi mille pagine di documenti, tra verbali e relazioni investigative. Ora spetterà al giudice dell’udienza preliminare Emanuele Mancini decidere se inserirli nel procedimento con rito abbreviato già in corso.

Cerbo racconta che il Consorzio mafioso sarebbe stato creato nel 2019 come “strumento di coordinamento e controllo finanziario”. L’obiettivo principale era gestire un immenso patrimonio riconducibile agli affari di Matteo Messina Denaro, all’epoca ancora latitante, e al contempo prevenire le faide tra i clan operanti nel Nord Italia.

Matteo Messina Denaro in coma il giornale popolare
Matteo Messina Denaro

Il pentito ha spiegato che il traffico di stupefacenti restava appannaggio dei singoli gruppi, mentre le decisioni economiche più importanti – investimenti, riciclaggio e spartizione dei profitti – passavano tutte attraverso la nuova struttura comune.
Il linguaggio usato da Cerbo, nei suoi verbali, è quello di un manager più che di un boss: parla di “strategie operative”, “pianificazione finanziaria” e “ripartizione delle competenze”. Segno di una mafia che si è evoluta, che non mira più solo al controllo del territorio ma alla conquista dell’economia.

Il primo riscontro concreto di questa alleanza è arrivato il 3 giugno 2020, quando i carabinieri intercettarono un incontro nel ristorante Sardinia di Inveruno, nell’Alto Milanese. A quel tavolo sedevano lo stesso Cerbo, Vincenzo Senese (figlio del boss romano Michele Senese) e gli imprenditori considerati i vertici operativi del Consorzio. Le telecamere e le microspie dei militari documentarono il vertice, che inizialmente sembrava un banale incontro tra uomini d’affari. Solo mesi dopo, grazie alle dichiarazioni di Cerbo, si è capito che quello fu il primo summit ufficiale del cartello mafioso lombardo.

Il cuore pulsante della rete si trovava nell’alto milanese, un’area strategica dove le organizzazioni potevano contare su aziende di copertura, prestanome e intermediari.
Le indagini hanno accertato la presenza di snodi logistici e finanziari tra Dairago, Inveruno, Arconate e Busto Garolfo, con ramificazioni verso l’hinterland sud-ovest, fino ad Abbiategrasso. Ad Arconate, residenza di Gioacchino Amico, i carabinieri hanno scoperto due depositi di droga e arrestato tre persone. Ad Abbiategrasso operava Paolo Aurelio Errenta Parrino, ritenuto uomo di Cosa nostra, mentre nelle campagne tra Castano Primo e Robecchetto la ’ndrangheta avrebbe organizzato riti di affiliazione e incontri riservati, alcuni dei quali terminati con minacce a imprenditori locali.

Le dichiarazioni del pentito non si fermano al mondo criminale. Nei suoi verbali compaiono riferimenti a tentativi di infiltrazione politica. Cerbo ha raccontato che nel 2020 un medico candidato alle elezioni amministrative nella zona milanese avrebbe ricevuto offerte di sostegno elettorale da uomini del Consorzio, pronti a finanziargli la campagna e ad aprirgli un ufficio. Quando il candidato scoprì i precedenti di Cerbo e degli altri, decise di ritirarsi. Ma, secondo quanto riportato dal pentito, Giancarlo Vestiti, emissario della camorra dei Senese, avrebbe rassicurato gli altri: “Non ti preoccupare, è saltato lui, ce ne sarà un altro.”

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Nei verbali emergono anche contatti con personaggi noti dello spettacolo e dell’imprenditoria. Cerbo parla di rapporti tra il clan Mazzei e Fabrizio Corona, che si sarebbe rivolto a Gaetano Cantarella, altro esponente dei Mazzei, per risolvere un debito da 70 mila euro a Palermo.
Inoltre, il pentito ha riferito di una cena a casa di Lele Mora nel 2019, durante la quale si sarebbe discusso di affari legati all’Ortomercato di Milano. Secondo Cerbo, Mora avrebbe affermato di essere “in stretto contatto con il presidente della Sogemi”, la società comunale che gestisce il mercato all’ingrosso.

Fabrizio Corona

L’inchiesta Hydra non è nata in un giorno. È il frutto di anni di intercettazioni, pedinamenti e riscontri raccolti dai carabinieri. Ma ha conosciuto momenti di difficoltà: nell’ottobre 2023, il gip Tommaso Perna aveva concesso solo 11 misure cautelari su 153 richieste, indebolendo l’impianto accusatorio.
La svolta è arrivata pochi mesi dopo, quando il Tribunale del Riesame e la Corte di Cassazione hanno ribaltato quella decisione, riconoscendo la solidità delle indagini e disponendo 41 arresti.
Oggi il processo conta 146 imputati accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, traffico di droga, riciclaggio e corruzione.

Le parole dell’investigatore citate nei documenti depositati – “Abbiamo fotografato una macchina in corsa. Le parole di Cerbo ci hanno permesso di capire come è stata costruita e chi la guida” – provengono da un’annotazione interna redatta dal Nucleo investigativo dei Carabinieri di via Moscova, inserita negli atti allegati al fascicolo milanese.

Una frase che riassume il senso profondo dell’inchiesta: l’idea di una mafia in movimento, una macchina complessa che si adatta, cambia forma e si fonde con l’economia legale.

Il caso Hydra segna un punto di svolta nella lotta alla criminalità organizzata del Nord. Non più una mafia che impone con la violenza, ma una mafia che compra, finanzia, assume e tratta, che si muove tra studi notarili, bilanci e consigli d’amministrazione.

Una mafia che non ha bisogno di sparare per farsi rispettare, perché controlla i capitali, le imprese e le relazioni. E che, come emerge dalle parole di Cerbo, aveva scelto Milano come la sua nuova capitale: la città dove si decide il destino dei soldi, e dunque del potere.