Sempre più adolescenti, anche in Italia, si chiudono in casa, evitando ogni contatto sociale. Un fenomeno in drammatica crescita.
Dopo il Coronavirus del 2020 e la conseguente terribile pandemia, i cui effetti non sono stati del tutto debellati, ecco spuntare un nuovo morbo che preferisce attaccare i giovani dai 14 ai 19 anni. Non produce danni fisici, ma è letale comunque perché causa isolamento sociale senza contatti con l’esterno. Si tratta di ragazzi che vivono la condizione di esclusi da qualsiasi tipo di relazione, personale e di gruppo.
A lungo andare vengono dimenticati dai compagni di scuola e le famiglie si sentono inadeguate a fronteggiare il declino dei loro ragazzi. Si trasformano in realtà immateriali, chiusi nelle proprie stanze a fantasticare mondi immaginari. E’ stata coniata la definizione di questa condizione: “hikikomori”, locuzione che deriva dalla lingua giapponese e sta ad indicare chi si auto-esclude, da hiku (tirare) e komoru (ritirarsi). Più nessuno li cerca, più si convincono della bontà della loro scelta. La loro è un’età particolare, caratterizzata da grandi cambiamenti, in cui si formano importanti rapporti sia umani che scolastici, a volte decisivi per il futuro.

In Italia sono in crescita, 2 milioni e mezzo appartenenti al famoso NEET (Not in Education, Employment or Training), ragazzi che non studiano, non lavorano e né sono inseriti in qualche percorso di formazione professionale. Di sessualità nemmeno a parlarne, vivono (!) in perenne clausura. Erano il 5,6% nel 2019 e il 9,7% nel 2022.
Su questo fenomeno allarmante è stato presentato uno studio a cura del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Roma, gruppo interdisciplinare “Mutamenti sociali, valutazione e metodi” (Musa) dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali. Secondo gli autori la pandemia ha inasprito il passaggio dalle relazioni reali a quelle virtuali. La connessione portata alle estreme conseguenze, in questa fase dell’età adolescenziale, recita un ruolo decisivo nella formazione dell’identità personale e del suo benessere psicologico. Stare sempre connessi non solo è causa di isolamento, ma può sviluppare tendenze suicidarie, proprio in un’età in cui la spensieratezza dovrebbe essere protagonista.

Come si è visto è cresciuto il numero dei ragazzi il cui unico contatto con l’esterno è la scuola, così come è aumentato il numero di coloro che non trascorrono il tempo libero con gli amici. La ricerca sociale è dotata di una particolare abilità e arguzia nel creare iperboli per definire i profili della propria indagine, in questo caso gli adolescenti. Sono stati etichettati, infatti, “farfalle sociali”, “amico-centrici” e “lupi solitari”, che sono coloro che non si relazionano coi loro amici dopo la scuola e che sono in continuo aumento. Una sorta di novelli “claustrali” dell’età tecnologica.
Il fenomeno è diffuso in entrambi i sessi, con una leggera preferenza per quello femminile. Sembra essere diffuso in maniera uniforme dal Nord al Sud del Paese e non pare determinato da alcuna tipologia scolastica frequentata e nemmeno dal retroterra culturale ed economico della famiglia, come si riteneva in passato. E’ un indicatore che il fenomeno si sta espandendo a macchia d’olio.
Le criticità salienti che appartengono a tutti i ragazzi sono costituite da alcuni fattori comuni: relazioni sociali ridotte al minimo anche coi genitori, soprattutto con la madre; l’efficacia delle stesse inesistenti, in particolar modo con familiari e insegnanti; cyberbullismo e bullismo; uso intensivo dei social media; poca pratica sportiva e extrascolastica; scontentezza del proprio corpo. Un comportamento che conferma la capitolazione di questi ragazzi alle prime difficoltà della vita.
Mentre le generazioni precedenti a volte si sono ribellate alle autorità che frapponevano ostacoli ai loro bisogni di realizzazione. Ora ci si ritira nel proprio spazio, si manifesta più disagio che bellicosità. Non si vuole partecipare ad una contesa sociale sempre più brutale. In una società dove trionfa un individualismo esasperato, hanno deciso di farsi da parte, di non volere essere sottoposti al chiacchiericcio, al detto e non detto. Senza rendersi conto, tuttavia che sparire è un po’ come morire, perché l’uomo, piaccia o no, è un animale sociale, come sosteneva il filosofo dell’antica Grecia, Aristotele. Nel senso che si realizza attraverso le relazioni con l’altro e questo aspetto sta alla base di ogni tipo di azione umana, altrimenti non è!