Qualche settimana fa l’AGCOM ha varato il regolamento contro l’hate speech, l’istigazione all’odio, alla violenza o all’esecuzione di atti di terrorismo.
Roma – Ricordiamo che l’AGCOM (Autorità Garante nelle Comunicazioni) è un’autorità amministrativa indipendente, di regolazione e garanzia. Deve vigilare sulla corretta concorrenza degli operatori di mercato e tutelare il pluralismo e le libertà fondamentali dei cittadini nel campo delle telecomunicazioni, editoria, mezzi di comunicazione di massa e delle poste. Le sanzioni per chi viola il regolamento vanno da 30mila a 600mila euro.
Dovrebbe essere una notizia positiva, nonostante imporre un agire comunicativo per legge, non sia il massimo. Il regolamento, al momento, si riferisce ai “media audiovisivi”, ma non ai social dove “l’hate speech” è diffuso come un fiume in piena. È come aver avuto il prosciutto davanti agli occhi per non considerare i social veicolo preferito dove dilaga la “cloaca massima” della cattiveria. Inoltre, regolamenti del genere, pongono un interrogativo di fondo.
Ovvero: “Come stabilire con correttezza cosa sia istigazione all’odio e cosa no?” Come è stato spiegato in conferenza stampa, il regolamento è stato varato dall’AGCOM dopo una consultazione pubblica avviata nel luglio scorso. Vi hanno partecipato i settori dei principali media, dell’università e del mondo dell’associazionismo a favore della tutela e della dignità della persona in tutti i suoi aspetti. Il testo, inoltre, ha indicato i criteri a cui i programmi televisivi si devono adeguare per non incorrere in sanzioni. Considerato che a livello di ONU non esiste una definizione accettata da tutti su cosa sia “l’incitamento all’odio”, un regolamento come quello dell’AGCOM, va accolto con favore. Come si dice: piuttosto di niente, meglio piuttosto.
Però sono proprio i social, a cui il regolamento fa un baffo, ad allarmare. Quindi, lo sviluppo delle competenze digitali e della Media Education (ME) rappresentano un aspetto dirimente della questione. Per ME si intende un’attività educativa e didattica, finalizzata a sviluppare nei giovani un’informazione e comprensione sulla natura e le categorie dei media, le tecniche da essi impiegati per costruire messaggi e produrre senso, i generi e i linguaggi specifici. È necessario fornire, soprattutto, ai più giovani, gli idonei attrezzi per smantellare gli stereotipi che spesso sono alla base delle varie forme di “hate speech”.
Inoltre, promuovere la partecipazione civica e l’impegno, utilizzando proprio i media digitali e i social network. Ora, per mettere in pratica un programma del genere, tutte le autorità, politiche e istituzionali dovrebbero remare nella stessa direzione, senza ostacoli di alcun genere. Vanno coinvolte le istituzioni territoriali e quelle scolastiche, iniziando dalla scuola primaria. Senza dimenticare altre forme di comunità, come la famiglia, la parrocchia, la pratica sportiva, associazionismo di base.
Un programma a vasto raggio che dovrebbe coinvolgere tutti, nessuno escluso. Ci sono le risorse umane e finanziarie per intraprendere questo percorso? Sia per le prime che per le seconde, si fa fatica a dare una risposta positiva. Lo spettacolo politico che siamo costretti ad assistere è di scarso rilievo. Si pensa solo questioni di piccolo cabotaggio. Per le risorse economiche, ci troviamo alla “canna del gas”. Se abbiamo forse i soldi per l’ordinaria amministrazione, dove li troviamo quelli per un investimento del genere?