Il presunto autore dell’aggressione mortale aveva già a suo carico una denuncia per maltrattamenti alla sua ex moglie. Il senegalese sembra sparito come un fantasma eppure era libero di muoversi tra l’Italia e la Svizzera. A che punto sono le indagini dell’efficiente polizia elvetica?
LA LOGGIA – Che fine ha fatto il senegalese Djiby Ba di 40 anni ricercato dalla polizia elvetica quale presunto assassino di Valentina Tarallo? Dell’uomo non si hanno più notizie dall’11 aprile del 2016 quando, in tarda serata, l’uomo avrebbe aggredito con una spranga la giovane ricercatrice italiana Valentina Tarallo, 29 anni, appena rientrata a Ginevra, dove lavorava, dalla sua solita puntatina a La loggia, in provincia di Torino, dove abitano tuttora i suoi genitori. La giovane scienziata si era laureata con il massimo dei voti in Biotecnologie all’università di Torino per poi specializzarsi a Ginevra dove viveva in un residence di avenue de la Croisette 12, vicino il centro sanitario Hôpitaux Universitaires de Genève dove la giovane piemontese lavorava nel reparto di Microbiologia molecolare.
Due mesi prima Valentina aveva conosciuto Djiby Ba, senegalese disoccupato, con il quale avrebbe intrattenuto una breve relazione. L’uomo, fin troppo geloso, pare fosse diventato possessivo e violento con la ragazza tanto da costringere Valentina a non vederlo più. L’uomo non avrebbe gradito la decisione di Valentina e non avrebbe perduto occasione per molestarla e intimidirla tanto fa costringere la professionista ad evitare qualsiasi contatto, anche verbale, con l’energumeno. Nel pomeriggio dell’11 aprile di 4 anni fa Valentina sarebbe uscita di casa per raggiungere un locale dove si sarebbe incontrata con amici e colleghi per poi andare in palestra da dove sarebbe uscita intorno alle 23. Valentina camminava con passo svelto e stava attraversando avenue de la Croisette ormai deserta. Appena giunta davanti all’ingresso del suo residence la giovane veniva aggredita da un uomo di colore che la colpiva a sprangate in testa per poi gettare l’arma del delitto sull’asfalto e fuggire a piedi. Mentre la dottoressa si accasciava accanto ad un’auto in sosta ormai morta per la copiosa emorragia cerebrale, alcuni vicini di casa gridavano aiuto:
”… Ho sentito un urlo e poi il rumore del ferro che sbatte contro l’asfalto – riferiva alla polizia un cittadino svizzero residente nella medesima via – mi sono affacciato e ho visto una ragazza sfigurata accasciata su un’auto. Ho chiamato i soccorsi. Hanno provato a rianimare Valentina per quarantacinque minuti. È morta lì, sul selciato…”.
Sul luogo giungevano ambulanza e polizia ma per la ricercatrice non c’era più nulla da fare:
”… Aveva talento Valentina – aveva detto il professor Franco Merletti, direttore dell’unità di Epidemiologia della Città della Salute – ero stato io a proporle il centro di ricerca di Ginevra, una realtà di primo livello da cui avrebbe potuto trarre il meglio per i suoi studi molecolari…”.
Tutti ne dicevano un gran bene della dottoressa italiana ma sino ad oggi la giovane scienziata non ha ottenuto giustizia. Djibi Ba, infatti, è ancora latitante e potrebbe essersi nascosto in Italia, sotto falso nome, oppure sarebbe tornato nel suo Paese ma questa ipotesi è la meno credibile. L’uomo, già sposato con una donna italiana, viveva a Cislago, in provincia di Varese, prima di trasferirsi in Svizzera presso l’abitazione di suoi connazionali. La sua ex moglie era stata costretta a separarsi dall’uomo per i maltrattamenti ricevuti e sul senegalese gravava ancora una denuncia per reati contro la persona. Insomma un uomo corpulento, alto 1,90, rabbioso e pregno di rancore che scaricava sul partner le proprie frustrazioni che, in uno con un marcato complesso di inferiorità, provocavano in lui eccessi di violenza l’ultimo dei quali avrebbe provocato la morte di Valentina Tarallo. Le indagini dell’efficiente polizia elvetica sembrerebbero in fase di stallo e dopo 4 anni dall’omicidio del presunto assassino si sono perdute le tracce:
”… Era una ragazza splendida e solare – raccontano i genitori Generoso Tarallo e Mattea Di Carlo – noi chiediamo solo giustizia per nostra figlia…”.
La polizia cantonale ginevrina repertava subito l’arma del delitto, un tondino di ferro, ritrovato sotto il marciapiede e una volta identificato il giovane senegalese la sua foto segnaletica veniva diramata a tutte le pattuglie operanti in Svizzera. Le indagini, coordinate dal procuratore generale Olivier Jornot, sono state tempestive ma senza risultati.