A 47 anni cadde sotto i colpi di pistola mentre era fermo al semaforo in via Leucatia. Un eroe indimenticato che pagò a caro prezzo la lotta contro Cosa Nostra.
Catania – La sera del 27 luglio 1992 il semaforo di via Leucatia a Catania si tinse di sangue. Erano le 21.30 quando due sicari in moto si avvicinarono a un’Alfa Romeo 75 ferma al rosso e scaricarono sei colpi di pistola contro l’uomo al volante. Giovanni Lizzio, 45 anni, ispettore capo della Polizia di Stato e responsabile della sezione anti-racket della Squadra mobile di Catania, morì poco dopo l’arrivo in ospedale.

Era passata appena una settimana dalla strage di via D’Amelio. Otto giorni dopo che Paolo Borsellino e la sua scorta erano saltati in aria davanti alla casa della madre del magistrato, Cosa Nostra colpiva ancora. Questa volta nel cuore di Catania, eliminando l’uomo che da anni dava la caccia agli estorsori dell’Etna.
Un poliziotto scomodo per la mafia
A soli 47 anni, Giovanni Lizzio fu ucciso mentre era fermo al semaforo, in una città che conosceva a fondo e che aveva scelto di servire fino in fondo, pur consapevole dei pericoli. Non fu un omicidio casuale, né soltanto la vendetta per l’operazione che pochi giorni prima aveva portato all’arresto.

L’ispettore Lizzio si era specializzato nella lotta al racket delle estorsioni, diventando un punto di riferimento per commercianti e imprenditori vessati dalla mafia catanese. Le sue indagini stavano dando risultati concreti, infastidendo pesantemente gli interessi di Cosa Nostra etnea.
Il processo e le condanne: Santapaola all’ergastolo
Le indagini sull’omicidio conobbero una svolta soltanto l’anno successivo. Inizialmente, infatti, si era cercato di sminuire la portata dell’omicidio. Alle esequie non presero parte neppure il ministro dell’Interno, Nicola Mancino, e il capo della polizia, Vincenzo Parisi.
Solo anni dopo (nel 1998), con le confessioni del pentito Natale Di Raimondo, si ridiede onore alla memoria di Lizzio, e un po’ di pace alla sua famiglia. La testimonianza di Di Raimondo inserì l’omicidio Lizzio come uno dei tasselli della sfida di Totò Riina allo Stato, con il benestare di Nitto Santapaola.

Nel 1996 il processo “Orsa Maggiore” si concluse con la condanna all’ergastolo per Santapaola come unico mandante dell’omicidio Lizzio, mentre gli altri imputati – Aldo Ercolano e Calogero Campanella – vennero assolti.
Per quanto riguarda gli esecutori materiali, nel giugno 1998, furono condannati Natale Di Raimondo e Umberto Di Fazio a 12 anni di reclusione. Vennero condannati a 30 anni di reclusione, inoltre, Francesco Squillaci e Giovanni Rapisarda, poi assolto in Appello. Assolti Filippo Branciforti e Francesco Di Grazia.
L’eredità di un servitore dello Stato
Per l’omicidio dell’ispettore Lizzio è stato condannato all’ergastolo, con sentenza passata in giudicato, il capomafia Benedetto “Nitto” Santapaola. Nel 2007, è stato notificato un ordine d’arresto ad alcuni uomini dello stesso clan, Filippo Branciforti, Francesco Squillaci e Francesco Di Grazia, accusati di essere gli esecutori
materiali dell’omicidio.

Giovanni Lizzio rappresenta uno dei simboli della lotta alla mafia, dell’impegno quotidiano che le donne e gli uomini della Polizia di Stato profondono nella lotta contro la criminalità organizzata. Un eroe silente che continua a fare tanto rumore.