Continua il duello a distanza nel giorno della manifestazione dei sindaci a Roma contro l’autonomia differenziata, tra tensioni e parapiglia.
Roma – Come aveva promesso il governatore campano Vincenzo De Luca è approdato a Roma e ha guidato, in stile “Masaniello”, la protesta dei sindaci contro l’autonomia differenziata. Ma come accade spesso nelle sceneggiate napoletane i toni si accendono al punto da degenerare. Così è stato per il sit-in che doveva svolgersi in modo composto, ma che poi ha preso una brutta piega tra parapiglia, tensioni con le forze dell’ordine sotto palazzo Chigi e insulti al premier Meloni.
Si inasprisce così il duello a distanza tra il presidente della Regione Campania e la presidente del Consiglio. Mentre Meloni è in Calabria con il ministro Fitto per la firma dell’accordo di sviluppo e coesione, De Luca fa la sua marcia su Roma con centinaia di sindaci del meridione per manifestare contro l’autonomia differenziata e per lo sblocco dei Fondi di Sviluppo e Coesione. Il governatore, prima di salire sul palco in Piazza Santi Apostoli, ha lanciato le prime frecciate alla premier:
“Se Meloni pensa che la dignità del Sud sia in vendita si sbaglia, la manifestazione di oggi serve a ricordare a lei e a tutto il governo che la dignità del Sud non è in vendita. Quindi chieda scusa perché sta bloccando risorse essenziali per creare lavoro“.
Lo “sceriffo” è un fiume in piena, dà un’altra picconata: “chi governa non può prendere le risorse come se fossero un bottino di famiglia e fare quello che vuole. La democrazia vive se vengono rispettati i diritti di tutti“. Al termine della manifestazione lo scenario cambia, ma non si placano i bollenti spiriti. De Luca e il corteo di primi cittadini del Sud si sono spostati verso il ministero per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr, a Largo Chigi, per chiedere che una delegazione fosse ricevuta da un capo di gabinetto del dicastero. Ma davanti all’ingresso hanno trovato un cordone di agenti di polizia che li ha bloccati facendo salire la tensione, con spintoni e ressa di telecamere.
Dopo oltre mezz’ora di attesa, De Luca e i sindaci hanno cambiato obiettivo: Palazzo Chigi. Ma anche l’ingresso su piazza Colonna, presidiato dalla Celere è risultato invalicabile. Lì un poliziotto, radio d’ordinanza in mano, gli avrebbe detto: “No, non si può andare oltre“. E Vicienzo sbotta, da par suo: “E allora chiedete che qualcuno venga qui a parlare, sennò dovete caricarci, è chiaro? Ci dovete uccidere“. Dai manifestanti, che avevano bloccato la circolazione su via del Corso, si è alzato il grido “fascisti, fascisti” ed è stata intonata “Bella ciao”. Solo De Luca è riuscito a fatica a superare il cordone di agenti di polizia e a dirigersi verso la sede del governo chiusa precedentemente per questioni di sicurezza. “A Roma sono scomparsi tutti quanti…”, ha commentato il governatore campano.
Intanto, la premier in Calabria, informata delle tensioni davanti a Palazzo Chigi, ha commentato con i giornalisti: “Se si lavorasse invece di fare le manifestazioni si potrebbe ottenere qualche risultato in più. Tutti i presidenti di Regione hanno capito il senso di quello che stiamo facendo. Si tratta del decimo accordo che firmiamo, e ne seguiranno altri: tutti sono collaborativi tranne uno, ma nemmeno mi stupisce troppo“, ha
detto riferendosi a De Luca. A quel punto i toni sono diventati incandescenti, come la replica del governatore campano, alla fine entrato in un palazzo delle istituzioni, Montecitorio.
Conversando con i cronisti, che gli riferivano il commento della premier ha definito Meloni “una stronza”. “Per lavorare ci servono i soldi. È tollerabile questo atteggiamento con centinaia di sindaci che non hanno i soldi per l’ordinaria amministrazione? Lavora tu, stronza“, ha detto prima di uscire dalla Camera dei deputati e dirigersi verso la Prefettura dove è stato ricevuto dal prefetto di Roma, Lamberto Giannini. “È andato bene“. Queste le uniche parole del governatore uscendo dalla sede in via Quattro Novembre. “Abbiamo avuto la possibilità di parlare col prefetto e lasciargli un messaggio da rivolgere alla presidente Meloni e al governo“, ha spiegato uno dei sindaci della delegazione ricevuta dal prefetto.
Sul fronte politico, durissima la reazione di Fratelli d’Italia. Il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli ha definito quella di De Luca una “squallida esibizione”:
“Ne era chiara la vocazione da teatrante – ha commentato – ma non si immaginava fosse tagliato per quelle squallide esibizioni di avanspettacolo dove volano gatti morti e cespi di lattuga, all’epoca frequentati da militari di leva con gli ormoni in disordine. Un trombone attempato che, come i bambini e gli anziani affetti da calcificazione delle arterie che portano
ossigeno al cervello, perde i freni inibitori di fronte a una donna, prima ancora che al presidente del consiglio. Un pessimo esempio per le ricorrenti campagne della sinistra (e non solo) tese a promuovere il rispetto della donna, in un’epoca di pericolosi femminicidi seriali“.
La senatrice campana di Fratelli d’Italia Giovanna Petrenga invoca addirittura le dimissioni di De Luca:
“Il presidente è un’istituzione pubblica, che amministra oltre cinque milioni di cittadini, pertanto non può permettersi di rivolgersi, come invece ha fatto oggi, al presidente del Consiglio con un volgare insulto. I cittadini campani meritano rispetto, le istituzioni non vanno vilipese da chi dovrebbe rappresentarle con disciplina e onore. Ritengo dunque doverose le sue dimissioni e la condanna ferma da parte dei vertici del suo partito, il Pd“.
Va al contrattacco anche il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera dei deputati, Tommaso Foti: “Ci chiediamo – incalza – se i dirigenti del Pd, a partire dal segretario Schlein, non provino imbarazzo alcuno nel vedere un presidente di Regione espresso da quel partito, insultare, irridere e dileggiare chiunque osi contrastarlo. Questo tipo di turpiloquio svela il reale livello della sinistra italiana. Eppure una condanna ferma e decisa servirebbe non solo ad esprimere doverosa solidarietà ai colpiti dal De Luca ma a ridare decoro alla politica“.