Nel Belpaese sono 190mila gli expat in altri Stati Ue, soprattutto in Francia. Lo dice una ricerca di ECA Italia sul personale all’estero.
Roma – Espatriati: è boom di lavoratori distaccati, in Europa sono raddoppiati negli ultimi 5 anni, arrivando a oltre 2,6 milioni di persone (+3,2%). In Italia sono 190 mila i lavoratori distaccati in altri Stati Ue, soprattutto in Francia. In entrata verso il Belpaese, invece, sono oltre 108 mila i lavoratori provenienti soprattutto da Romania, Germania e Croazia. Lo dice una recente ricerca di ECA Italia, che dal ’94 è leader nel settore della consulenza per la gestione del personale espatriato, offrendo soluzioni innovative e supporto operativo alle aziende per gestire i processi di internazionalizzazione. In collaborazione con il partner strategico ECA International, attivo nel mercato dell’International HR dal ’71, fornisce dati, benchmark retributivi e supporto informativo per oltre 180 Paesi, facilitando la gestione degli espatriati.
In Italia ci sono ogni anno centinaia di migliaia di persone che lavorano all’estero in modo temporaneo, sono i cosiddetti espatriati, ossia personale in trasferta o in distacco all’estero. Un “lavoratore distaccato” è un dipendente che viene inviato dal proprio datore di lavoro in un altro Stato, su base temporanea, per svolgere un’attività professionale. Al contrario, ci sono altrettanti lavoratori stranieri che lavorano per le aziende collocate in Italia sempre come distaccati. Con il termine espatriati si fa pertanto riferimento ad un lavoratore qualificato inviato all’estero dalla propria azienda. Il termine di espatriati va distinto dal termine migranti, che solitamente fa riferimento a persone che in spinte da necessità di tipo economico e sociale si spostano in un paese terzo rispetto a quello di origine.
“Le imprese anno dopo anno stanno ampliando la ricerca e gestione dei talenti a livello globale per costruire una forza lavoro diversificata che contribuisca alla crescita aziendale. Si tratta di una mobilità internazionale del lavoro che porta una crescente quota di dipendenti a lavorare per la stessa azienda ma, per alcuni periodi, in Paesi diversi da quello di residenza – spiega Andrea Benigni, CEO ECA Italia -. In Italia, inoltre, emergono spesso necessità specialistiche che il mercato del lavoro locale non è in grado di soddisfare, portando alla ricerca di esperti residenti all’estero. Uno scambio di professionisti flessibili in termini di luogo di lavoro, dislocabile su una dimensione territoriale che va oltre i propri confini nazionali. E i numeri del fenomeno indicano un trend ormai strutturale di mobilità internazionale dei talenti che implica anche una complessa gestione di aspetti fiscali e normativi internazionali e locali per le aziende”.
Lo smart working internazionale per gli expat. In questi anni, complice la pandemia Covid-19, si è diffusa una nuova modalità di svolgimento della prestazione lavorativa attraverso il cosiddetto smart working internazionale. Tale modalità che consiste nel lavorare per la propria azienda, ma in modalità da remoto, rimanendo fisicamente nel proprio Paese che sarà pertanto diverso da quello dove ha sede il datore di lavoro. Per fare un esempio, è il caso di un ingegnere italiano che lavora per una società svedese dall’Italia e che per quella società realizza attività di ricerca e sviluppo piuttosto che di un Marketing Manager francese che lavora per una società italiana, ma dalla Francia. La società svedese non avrà a sua disposizione una sua italiana così come la società italiana che assume il Marketing Manager francese non disporrà di una sua società controllata in Francia.
Secondo una ricerca 2023 di ECA Italia, su un campione di medie e grandi aziende, il 79% di queste ha fatto ricorso a questa inedita forma di lavoro transnazionale e nel 49% dei casi è stato il lavoratore a richiederlo per ragioni di tipo personale, che impediscono lo spostamento del lavoratore e dei propri familiari in altro paese.