Ercolano, 79 d.C.: così la nube bollente del Vesuvio trasformò il cervello di un uomo in vetro

Un caso unico nel suo genere. A spiegare come sia potuto accadere un team italo-tedesco di ricercatori guidato dal vulcanologo Guido Giordano dell’Università Roma Tre.

Tra le tante scoperte archeologiche legate all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., una delle più significative è senza dubbio quella relativa al materiale organico vetrificato conservatosi nel cranio di una delle vittime di Ercolano. I resti del cervello, appartenenti a un giovane adulto di sesso maschile trovato disteso in un letto all’interno del Collegium Augustalium, rappresentano un caso unico nel suo genere.

Sebbene la scoperta sia stata già resa nota da tempo (era stata pubblicata su PLOS One nell’ottobre 2020 ), il fenomeno viene ora descritto e analizzato per la prima volta in maniera esaustiva da un team italo-tedesco di ricercatori guidato dal vulcanologo Guido Giordano del Dipartimento di Scienze dell’Università Roma Tre. Lo studio, appena pubblicato su Scientific Reports in Open Access, dimostra come il fenomeno abbia richiesto condizioni di temperatura e raffreddamento specifiche, mai documentate prima d’ora.

Ercolano, trovati i neuroni di una vittima dell'eruzione del 79 d.C.
L’immagine dei neuroni dallo studio pubblicato su Plos One ©Petrone 2020

In natura, la formazione del vetro è rara, poiché richiede un raffreddamento rapidissimo dallo stato liquido per impedire la cristallizzazione. La trasformazione di materiale organico in vetro è ancora più insolita, dato che i tessuti umani sono prevalentemente composti da acqua, che normalmente evapora o si degrada a temperature elevate.

Le analisi condotte dal team multidisciplinare italo-tedesco guidato da Giordano hanno dimostrato che il cervello della vittima di Ercolano è stato esposto a temperature di almeno 510°C, seguite da un raffreddamento rapidissimo, permettendo la formazione del vetro organico e la preservazione delle microstrutture cerebrali.

Gli scienziati hanno impiegato tecniche avanzate come la microscopia elettronica, la spettrometria Raman e analisi calorimetriche per comprendere il processo di vetrificazione. I risultati indicano che il materiale cerebrale non si sarebbe potuto vetrificare se l’individuo fosse stato riscaldato esclusivamente dai flussi piroclastici che hanno seppellito Ercolano, “poiché i depositi di questi flussi, le cui temperature non hanno superato i 465°C, si sono raffreddati molto lentamente e avrebbero totalmente distrutto il materiale organico, a meno che esso non si fosse già trasformato in vetro”.

cervello ercolano
Il frammento vetrificato del cervello rinvenuto a Ercolano (Petrone copyright 2020)

Secondo il prof. Guido Giordano, la chiave del processo risiede nella dinamica dell’eruzione. Dopo le prime ore, i flussi piroclastici hanno colpito Ercolano con nubi di cenere diluita, letali per la loro temperatura superiore ai 510°C. Tuttavia, l’impatto termico fu abbastanza breve da lasciare intatto il tessuto cerebrale, che si raffreddò rapidamente, innescando la vetrificazione. Solo successivamente, nella notte, la città fu completamente sepolta dai depositi vulcanici più densi.

“Sulla base delle nostre scoperte e dell’analogia con moderne osservazioni sulle eruzioni vulcaniche – racconta il prof. Guido Giordano – ipotizziamo che nel 79 d.C. si sia verificato questo scenario. Dopo le prime ore di eruzione che produssero la colonna eruttiva osservata e descritta da Plinio il Giovane, nella notte del 24 agosto (o forse 24 ottobre come recenti scoperte suggeriscono) iniziarono i primi flussi piroclastici che progressivamente distrussero Ercolano. Il primo di essi raggiunse la città solo con la sua parte di nube di cenere diluita ma caldissima, ben oltre i 510 gradi Celsius. Lasciò a terra pochi centimetri di cenere finissima, ma l’impatto termico fu terribile e mortale, seppur sufficientemente breve da lasciare – almeno nell’unico caso del ritrovamento nel Collegium Augustalium – resti di cervello ancora intatti.

La nube deve essersi poi altrettanto rapidamente dissipata, consentendo a questi resti di raffreddarsi così rapidamente da innescare il processo di vetrificazione. Solo più tardi nella notte la città fu completamente seppellita dai depositi dei flussi piroclastici.

Questo scenario è di grandissima importanza non solo per la ricostruzione storica e vulcanologica, ma anche ai fini di protezione civile, perché definisce un’altissima pericolosità anche per flussi molto diluiti che non hanno grandi impatti sulle strutture ma che possono essere letali per le loro temperature, la cui conoscenza può tradursi in efficaci misure di prevenzione e mitigazione”.

Lo scheletro del guardiano nel suo letto (foto: P.P. Petrone)

Il dott. Danilo Di Genova ha sottolineato l’importanza delle analisi sperimentali che hanno consentito di definire la storia termica del materiale:

“Per comprendere il processo di vetrificazione abbiamo condotto delle analisi sperimentali riportando i frammenti di cervello alle temperature a cui si sono trasformati in vetro con cicli di riscaldamento e raffreddamento a velocità variabili con apparecchiature molto sofisticate, grazie ad una collaborazione tra CNR-ISSMC, il Dipartimento di Scienze di Roma Tre e la Technische Universität Clausthal”.

Dal canto suo, il prof. Pier Paolo Petrone (Università di Napoli Federico II) sottolinea l’importanza del ritrovamento:

“Un materiale cerebrale e spinale come questo, vetrificato, non solo non è mai stato trovato in nessun’altra delle centinaia di scheletri di vittime dell’eruzione vesuviana del 79 d.C., ma costituisce l’unico esempio del genere conosciuto al mondo. È probabile che le particolari condizioni verificatesi all’inizio dell’eruzione nel luogo di rinvenimento, nonché la protezione delle ossa del cranio e della colonna vertebrale dell’individuo abbiano creato le condizioni perché il cervello e il midollo osseo sopravvivessero all’impatto termico, permettendo poi di formare questo vetro organico unico”.

Il caso del cervello di Ercolano, davvero, straordinario apre nuove prospettive nella bioarcheologia e nella comprensione delle interazioni tra alte temperature e tessuti organici. La scoperta, però, non solo offre un’opportunità unica per lo studio dei processi di vetrificazione organica, ma come ha chiarito il prof. Giordano, ha anche rilevanza per la vulcanologia e la protezione civile. La ricerca dimostra che anche nubi piroclastiche diluite possono essere letali e portare a fenomeni fisici estremi. Comprendere la loro dinamica potrebbe migliorare la gestione del rischio vulcanico e la prevenzione di catastrofi future.

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